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venerdì 8 marzo 2013

Il volume di Paolo Barcella “Venuti qui per cercare lavoro. Gli emigrati italiani nella Svizzera del secondo dopoguerra”


ITALIANI ALL’ESTERO
Tavola rotonda al Centro Studi Emigrazione di Roma
La presentazione del volume di Paolo Barcella “Venuti qui per cercare lavoro. Gli emigrati italiani nella Svizzera del secondo dopoguerra”

Un mosaico di interviste, memoriali, lettere e temi scolastici che mostrando l’esperienza dei nostri emigranti pone a confronto la realtà dell’Italia degli anni 50 con quella più moderna della Svizzera di allora

ROMA – In occasione della presentazione del volume “Venuti qui per cercare lavoro. Gli emigrati italiani nella Svizzera del secondo dopoguerra”, edito dalla Fondazione Pellegrini Canevascini (Bellinzona , 2012), si è svolta al Centro Studi Emigrazione di Roma (Cser) la tavola rotonda sul tema “L’emigrazione italiana in Svizzera ieri e oggi: esperienze e traiettorie”. Nel libro di oltre trecento pagine, realizzato dal docente di storia contemporanea all’Università degli studi di Bergamo Paolo Barcella, si analizza, attraverso interviste ai nostri connazionali, memoriali, lettere e temi scolastici, l’esperienza dell’emigrazione italiana in Svizzera dal secondo dopoguerra, passando per il boom economico, fino al 1975. Un mosaico di storie che consente anche di porre a confronto la realtà dell’Italia di quegli anni, ancora caratterizzata dal provincialismo e contesti rurali, con quella più moderna ed industrializzata della Svizzera. 

Dopo la breve introduzione del direttore del Cser René Manenti, che ha segnalato i 50 anni di intensa attività portati avanti dal Centro Studi Emigrazione di Roma, la moderatrice del dibattito Mariella Guidotti (Cser) ha ricordato come i missionari scalabriniani abbiano seguito in prima persona, con motivazioni spirituali, assistenziali e di studio, la diaspora italiana nel mondo e in modo particolare quella dei nostri connazionali in Svizzera. La Guidotti ha evidenziato l’attuale ripresa dei flussi migratori che partono dall’Italia verso l’estero e ha spiegato come il libro di Paolo Barcella, racconti l’emigrazione “non soltanto con statistiche e numeri, ma anche attraverso i percorsi di vita”. “In Svizzera – ha aggiunto la Guidotti – vi sono famiglie italiane transazionali aperte ad amicizie con persone di tutte le nazionalità. Famiglie che hanno acquisito una nuova identità che non è quella di partenza o quella di arrivo. Io credo che in questo senso le migrazioni portino le persone ad essere capaci di vivere fra più frontiere, popoli, e lingue, sviluppando così una novità culturale”. 

Dal canto suo Michele Colucci, ricercatore del Cnr – Issm e docente di storia contemporanea presso Università della Tuscia ha spiegato come “negli anni successivi alla seconda guerra mondiale l’emigrazione italiana in Svizzera abbia davvero rappresentato un fenomeno di massa . Parliamo – ha precisato Colucci - di milioni di persone che con caratteristiche molto particolari hanno compiuto l’esperienza migratoria in qual paese in vario modo. Come lavoratori stagionali, frontalieri o insieme alle famiglie. Una estrema pluralità di percorsi migratori che rappresenta una ricchezza per capire oggi cosa sono in generale le migrazioni”. Secondo Colucci il volume di Barcella ha inoltre il pregio di occuparsi sia di emigrazione, analizzando ad esempio il contesto della partenza dei migranti e il loro rapporto con il territorio, sia di immigrazione, ovvero dei problemi che affronta una persona e una popolazione quando inizia a vivere e a risiedere in un nuovo contesto. Per Colucci inoltre il libro, grazie alle tante fonti acquisite e ad una efficace griglia interpretativa, riesce ad approfondire i perché del fenomeno migratorio andando oltre ad una dimensione puramente quantitativa delle migrazioni. “Questo intreccio presente nel volume – ha puntualizzato Colucci - , fra la dimensione individuale, rappresentata dalla testimonianza delle singole persone, e il reticolo più complessivo della realtà economica e sociale del dopoguerra, è particolarmente felice e ci fa fare dei passi avanti nella comprensione di questo specifico flusso migratorio e delle migrazioni in generale” . 

Matteo Sanfilippo, docente di Storia Moderna dell’Università della Tuscia e coordinatore editoriale di Studi Emigrazione, la rivista del Cser, si è invece soffermato sul quadro storico dell’emigrazione europea, evidenziando come sin dal medio evo sia in atto uno scambio di lavoratori frontalieri fra i territori italici e quelli svizzeri dovuto anche ai continui conflitti che avevano luogo in territorio elvetico prima della pacificazione. 

Sanfilippo ha anche evidenziato come l’emigrazione italiana della metà del secolo scorso verso i territori elvetici rappresenti per i nostri connazionali “una sorta di balzo fra due mondi “ ovvero dall’Italia degli anni 50, ancora parzialmente contadina e di cultura preindustriale, ad una realtà Svizzera dove vi è un tipo di industria totalmente differente. Da Sanfilippo viene inoltre segnalato come il volume non mostri solo il lato drammatico dell’emigrazione italiana. “Vi erano ad esempio delle persone – ha spiegato il docente - che partivano dall’Italia perché non amano la gretta società italiana degli anni 50. Ma c’erano anche donne che in emigrazione scoprivano l’emancipazione da società d’origine opprimenti. Quindi questo libro contribuisce a cercare di intendere l’emigrazione al di fuori di questo pietismo un po’ barocco dell’emigrante sofferente” . Sanfilippo si è infine soffermato sulla capacità dell’autore di evidenziare il rapporto fra gli emigranti italiani in Svizzera e la presenza dei missionari cattolici. Sacerdoti, provenienti da varie regioni italiane, che aiutavano i nostri connazionali non solo dal punto di vista spirituale, ma anche per la ricerca di lavoro. 

Carla Collicelli, vicedirettore del Centro Studi Investimenti Sociali/Censis, ha invece affrontato, dopo aver ricordato i lati positivi e negativi della cultura della provvisorietà portata avanti dai nostri emigranti in Svizzera e Germania, la questione della ripresa odierna dei flussi migratori in uscita dall’Italia. La Colicelli ha evidenziato come la popolazione straniera residente in Italia dopo l’ultimo censimento dell’Istat ammonti a 3 milioni e 8000.000 persone, di contro gli italiani iscritti all’Aire, al 1 gennaio 2012, erano oltre 3 milioni e 900 mila . La Colicelli ha anche segnalato come il 60,6% degli italiani all’estero abbiano solo la cittadinanza italiana, mentre il 39,4% possiede anche una seconda nazionalità. In ogni modo, secondo la ricercatrice, i connazionali nati all’estero sarebbero a tutt’oggi in netta prevalenza rispetto a quelli che hanno avuto i natali in Italia. Il vicedirettore del Censis ha poi spiegato come i flussi migratori dall’Italia siano in aumento, circa 40.000 persone all’anno, e registrino un numero di espatri superiore, circa 10.000 unità, rispetto ai rientri in patria. Una nuova diaspora italiana che interessa soprattutto persone tra i 20 e i 39 anni, generalmente laureate e provenienti in prevalenza dalle regioni settentrionali. Un trend in continuo in aumento che per la Collicelli evidenzia “alcune mete preferite come la Gran Bretagna, la Germania, la Svizzera, la Francia e gli Stati Uniti”. Questo – ha aggiunto - si ricollega all’annoso problema della fuga dei cervelli. Quello che preoccupa è che comunque non c’è reciprocità con l’arrivo di laureati stranieri in Italia e che spesso i ricercatori italiani che fanno rientro nel nostro paese ripartono per l’estero anche a causa della bassa retribuzione”. 

“Questo libro – ha ricordato l’autore del volume Paolo Barcella – si è sviluppato da un precedente lavoro sulle Missioni Cattoliche in Svizzera… In quasi tutte le interviste e dalle scritture autobiografiche degli emigrati dell’epoca – ha proseguito l’autore - emerge il mito della frontiera chiusa. Il fatto cioè che la Svizzera fosse un paese dove, a differenza delle migrazioni clandestine contemporanee, era particolarmente complicato entrare e solo attraverso delle rigide procedure. Le stesse fonti però mostrano come la realtà fosse molto diversa, facendo emergere, all’arrivo dei nostri emigrati in territorio elvetico, tutta una serie di figure di reclutatori che favoriva l’emigrazione verso la Svizzera. Reclutatori che agivano in buona parte in maniera irregolare e al di fuori delle procedure definite attraverso gli accordi bilaterali del 1948 fra Italia e Svizzera”. Barcella ha poi sottolineato come la pluralità delle fonti e quindi delle esperienze dei nostri connazionali facciano emerge diverse e contrastanti interpretazioni della società svizzera e del modo con cui questi nostri connazionali sentivano l’appartenenza alla comunità italiana. Dimensioni soggettive che però, secondo l’autore, ci permettono di riflettere su grandi questioni sociali come ad esempio il conflitto interno della classe operaia fra i nostri lavoratori e quelli svizzeri, l’effetto dell’azione politica dei partiti xenofobi e il contributo dell’esperienza migratoria all’emancipazione della donna. (G.M./Inform)

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