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venerdì 22 marzo 2013

L’integrazione dei romeni in Italia tra famiglia e lavoro

IMMIGRAZIONE
Il convegno a Roma nell’ambito della Settimana d’azione contro il Razzismo promossa dall’Unar
L’integrazione dei romeni in Italia tra famiglia e lavoro
L’analisi del Centro Studi Idos fornisce un quadro accurato della presenza romena in Italia, che raggiunge e supera il milione di presenze. Fattori di stabilizzazione la famiglia e le seconde generazioni, ma si teme il rischio povertà e la frantumazione dei rapporti.
De Giorgi (Unar): “Praticare una politica di accoglienza, così come l’abbiamo richiesta nel passato per i nostri emigrati”



ROMA – Un quadro accurato della presenza romena in Italia è quello fornito dal Centro Studi e Ricerche Idos in occasione del convegno intitolato “L’integrazione dei romeni in Italia tra famiglia e lavoro”, organizzato oggi a Roma nell’ambito della Settimana d’azione contro il Razzismo promossa dall’Unar (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali).

Emerge una collettività fortemente connotata dalla mobilità verso l’ Unione Europea – i romeni, con oltre 2,5 milioni di cittadini residenti in un altro Stato membro, sono quelli più propensi alla mobilità intracomunitaria e hanno ormai superato le collettività turca, marocchina, polacca ed italiana presenti in Europa – e con una tendenza alla crescita, anche per quanto riguarda la loro presenza in Italia.

Seppur con un lieve calo dovuto agli effetti della crisi economica, la presenza romena in Italia è aumentata tra il 2010 e il 2012 del 20.8% superando nelle statistiche ufficiali di gran lunga il milione di presenze (1.072.342). Incrementi ancora più significativi si sono registrati in Danimarca (86,2%), Belgio (62,7%), Germania (52,8%) e Irlanda (47,9%). In valore assoluto, sono i Paesi del Mediterraneo quelli dove si registra il maggiore insediamento: dopo l’Italia, è la Spagna ha registrare le presenza più significativa (865.572), mentre a notevole distanza si collocano la Germania (171.475 presenze) e il Regno Unito (94.825), Paesi ove si recano prevalentemente i lavoratori altamente qualificati. Nel futuro l’emigrazione romena sarà però rallentata dal fatto che si trova all’estero già oltre un decimo della sua popolazione e visto il consistente invecchiamento della stessa.

Sulla stabilizzazione della collettività romena immigrata nel nostro Paese incide la prospettiva del rientro in patria, possibilità costantemente tenuta aperta ma dilazionata per l’impossibilità di portare con sé gli affetti e le relazioni sociali maturate in Italia, soprattutto nel caso di famiglie con bambini, la posizione lavorativa faticosamente conquistata, l’accesso ai benefici del welfare state, ecc. L’analisi mette in luce poi come il reinserimento in patria risulti alla prova dei fatti estremamente difficoltoso, per l’assenza di sostegni pubblici in proposito, e, nel caso di progetti imprenditoriali, per la forte concorrenza animata dalle multinazionali. Si parla inoltre di una vera e propria “strategia di vita transnazionale che nasce da esigenze individuali e/o familiari e si caratterizza per una mobilità non istituzionalizzata di breve durata, legata a motivi di lavoro o affari e sostenuta da un’ampia assistenza da parte dei network migratori (familiari, etnici, religiosi, ecc.)”. Il migrante è sempre più abituato al viaggio, sviluppa una “cultura della frontiera” e si basa sulla sua capacità di adattarsi a contesti molteplici e variabili. Segnalata anche la notevole disponibilità alla migrazione interna, cioè a spostarsi da un comune all’altro dell’Italia a seconda delle esigenze del mercato del lavoro o delle opportunità offerte in termini di accesso ai servizi e alla disponibilità di alloggio.

Se la famiglia è il perno dell’integrazione sociale in Italia (sono 90mila i bambini romeni nati in Italia, 140mila quelli iscritti a scuola), le maggiori difficoltà avvertite da questi nuclei familiari sono rappresentante dal rischio di cadere sotto la soglia della povertà o di vivere in condizioni di deprivazione materiale. Nello stesso tempo la famiglia è chiamata ad affrontare i problemi connessi alla sua stessa frammentazione causata del processo migratorio – pensiamo agli anziani lasciati soli nei villaggi di origine, le coppie separate - a volte definitivamente - dall’emigrazione, i minori che si sentono abbandonati dal genitori all’estero e sviluppano ogni sorta di problemi, tra cui abbandono scolastico, problemi comportamentali e psico-affettivi, arrivando nei casi più estremi anche al tentativo di suicidio.

Giovano alla stabilizzazione poi anche le acquisizioni di cittadinanza a seguito di matrimoni misti, il protagonismo delle seconde generazioni nelle iscrizioni universitarie e una forza lavoro pari ad un quinto del totale. L’analisi rivela infatti una “collettività di lavoratori”, le cui occupazioni risultano fortemente connotate dal genere: gli uomini, in circa la metà dei casi, sono occupati nelle costruzioni; mentre le donne prevalentemente nei servizi domestici. Solo il 5% dei lavoratori romeni svolge una professione altamente qualificata; generalmente – si legge nella scheda - si tratta di profili sovra-istruiti rispetto alla posizione lavorativa occupata che fanno coincidere la propria ascesa professionale con il sogno di aprire un’attività in proprio. Imprenditoria e rimesse (oltre 800.000 sugli oltre 7 milioni di euro di rimesse quantificate nel 2011 dalla Banca d’Italia) rappresentano, quindi, tasselli importanti non solo per le tasche dei diretti interessati, ma anche per l’impatto in termini di sviluppo.

Con l’avanzare dei processi utili alla stabilizzazione della presenza romena in Italia si attenuta anche l’atteggiamento di diffidenza da parte della popolazione italiana, cresciuto in parallelo alla collettività immigrata in questi ultimi anni. “La coerenza storica ci induca a praticare una politica di accoglienza, così come l’abbiamo richiesta nel passato per i nostri emigrati – afferma a questo proposito Marco De Giorgi, direttore generale dell’Unar, ripercorrendo la storia dell’emigrazione italiana in Romania, dalla fine dell’Ottocento ad oggi. “I discendenti di emigrati italiani, raggruppati in piccole comunità, sono rimasti là fino ad oggi. Il segno del lavoro prestato dagli italiani è riscontrabile in molti edifici pubblici anche di piccoli comuni (l’edificio comunale o il teatro, ad esempio) o in belle ville di luoghi di villeggiatura - segnala. Se prima furono in particolare lavoratori qualificati a contribuire alla costruzione di grandi opere in Europa Orientale – prima dell’avvento del comunismo – dopo il crollo del muro sono stati sempre più gli imprenditori a giungere in quell’area. “Qualche anno fa si è stimato che a Timisoara, in un’area a forte vocazione commerciale, i piccoli e medi imprenditori italiani siano stati circa 10.000 e circa 15.000, se non più, nell’intero Paese. I progetti migratori comportano sempre dei sacrifici – aggiunge De Giorgi - e così possiamo dire che sia stato anche in Romania, sia nel periodo classico dell’emigrazione sia nella recente emigrazione degli imprenditori. Si può, tuttavia, affermare che in generale il clima di accoglienza nei confronti degli italiani sia stato positivo”. “Lo stesso non è avvenuto nei confronti degli immigrati romeni in Italia – segnala il direttore dell’Unar, rilevando come “i dati relativi alla devianza sociale riguardante gli immigrati romeni smentiscano il luogo comune che li criminalizza in maniera generalizzata e non tiene conto che la loro incidenza sulle denunce è più bassa rispetto a quella sui residenti, così come il tasso d’aumento delle denunce è più basso rispetto al tasso d’aumento della popolazione romena venuta a insediarsi in Italia”.

“Come spesso avviene, il forte ritmo di aumento e il numero consistente ha allertato la popolazione e la convivenza non sempre è stata serena. Tuttavia non vi è altra soluzione positiva al processo di integrazione, da intendere come un processo di avvicinamento a una piena uguaglianza di trattamento, che richiede al Paese di accoglienza una maggiore attenzione al fatto che gli immigrati si trovano in una situazione di maggiore sfavore, per cui – conclude De Giorgi - occorre adoperarsi non per accentuare le distanze, bensì per ridurle”. (Viviana Pansa - Inform)

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