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venerdì 12 aprile 2013

Alla Sioi, “Primavera araba, dopo 2 anni quali prospettive?”


DIBATTITI
Alla Sioi, “Primavera araba, dopo 2 anni quali prospettive?” 

Una riflessione sugli esiti incerti delle rivoluzioni in corso nei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, con particolare attenzione nei confronti dei profughi e del conflitto siriano. Tra gli interventi, quello del vice ministro del Mae, Staffan De Mistura, di presidente e direttore del Cir, Savino Pezzota e Christopher Hein 

ROMA – Le incerte prospettive politiche dei Paesi della sponda Sud del Mediterraneo al centro del dibattito promosso ieri a Roma dalla Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale e il Consiglio Italiano per i Rifugiati e intitolato “Primavera araba, dopo 2 anni quali prospettive?” 

Un tema di grande attualità anche se poco considerato al momento attuale in Italia – hanno rilevato Marcello Salimei, segretario generale della Sioi, introducendo l’incontro, e Savino Pezzotta, presidente del Cir. Pezzotta ha segnalato in particolare l’importanza delle trasformazioni in atto nel sud del Mediterraneo per la “missione umanitaria svolta dal Cir”, missione di “accompagnamento dei rifugiati”, il cui numero non segue le dinamiche dell’immigrazione determinata da fattori economici. “Il Cir ha deciso di continuare ad operare in questi Paesi perché i rifugiati sono in aumento e siamo consapevoli della delicatezza del momento. Occorre guardare alla civiltà musulmana con occhio diverso, comprenderla nella sue differenze, nei suoi valori e nella sua complessità piuttosto che con uno sguardo di superiorità o condizionato dall’ideologia dello scontro di civiltà – afferma Pezzotta, che richiama poi l’attenzione sulla Siria, il cui conflitto interno ha generato ad oggi oltre 1 milione di profughi. “Dobbiamo acquisire una visione diversa da quella delle piccole patrie e aprirci in particolare alle realtà giovanili di quei Paesi, segno di speranza che dobbiamo coltivare per il futuro del Mediterraneo – ha concluso il presidente del Cir augurandosi anche, nella nuova legislatura, la possibilità di un intervento per una legge organica sul diritto d’asilo. 

Sulle difficoltà da parte dei media di comprendere la portata degli avvenimenti che si sono susseguiti nel Mediterraneo in questi ultimi anni si è soffermato Lorenzo Cremonesi, giornalista del Corriere della Sera e moderatore del dibattito. “Era chiara la percezione di un Medio Oriente in bilico, in sofferenza soprattutto per la difficile situazione economica, ma nessuno – afferma Cremonesi - poteva prevedere l’irrompere di questo desiderio di libertà, gridato in piazza dalla popolazione in Egitto o in Tunisia”. “Decisivo per l’innesco e il diffondersi delle rivoluzioni è stato internet, ma ora non basta più: internet può funzionare come cassa di risonanza, ma non può gestire la rivoluzione – avverte Cremonesi, lanciando un allarme sul conflitto in Sira, in particolare per l’infiltrazione di frange estremiste che allontanano la speranza di un cessate il fuoco. 

Il vice ministro degli Affari Esteri, Staffan De Mistura, ha ricordato come inizialmente gli stessi ambienti vicini ad Al Quaeda fossero stati colti di sorpresa dalle ribellioni, contraddistinte da slogan e richieste inerenti la libertà o il lavoro, invece che da proteste contro Israele o l’Occidente. “Nel corso di questi 18 mesi abbiamo assistito agli sviluppi di rivoluzioni e proteste che inizialmente i tiranni pensavano si sarebbero fermate nelle piazze. Sono proseguite però molto oltre il previsto – afferma il vice ministro, tracciando un quadro complesso e difficilmente prevedibile anche per la stessa comunità internazionale, che però ha tentato di intervenire nei casi più estremi, come per la Libia. “Non abbiamo alternative che guardare alla Primavera araba con entusiasmo, consapevoli però di come essa vada accompagnata perché soggetta a tentativi di scippo, di cambiamento del suo corso iniziale o di arretramento – afferma De Mistura, indicando quali mezzi idonei a tale “accompagnamento”, il lavoro, specie per le giovani generazioni, e “forme di cooperazione tra l’Europa e il Mediterraneo”. Estremamente delicata anche la situazione in Sira, dove molteplici sono le forze in campo e su cui si potrebbe intervenire in diverso modo, attraverso corridoi umanitari o con una forza di interposizione – suggerisce il vice ministro, tutte ipotesi al momento “bloccate” dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu. De Mistura ammette la presenza in Sira di “forti componenti estremiste”, componenti che anche altrove hanno cercato di volgere i movimenti rivoluzionari a proprio favore e piegarli ai propri scopi e segnala come non esista “una formula magica” per la soluzione del conflitto. “Come comunità internazionale dobbiamo essere preparati allorquando ci sarà una nuova fase politica e non un prevalere dei mezzi militari. Allora – afferma - sarà estremamente importante impedire altre violenze e lo smembramento del Paese”. Il temporeggiamento della comunità internazionale in termini di intervento è dovuto quindi a molteplici fattori: alla difficoltà di comprendere ciò che avviene in contesti spesso molto diversi tra loro, alla difficoltà di trovare un accordo tra Paesi al Consiglio di Sicurezza su se e quale possa essere il mezzo più idoneo all’intervento, viste anche precedenti e tragiche esperienze, e al principio della non ingerenza. 

Anche nel caso delle primavere arabe, molto complessi appaiono essere gli esiti delle trasformazioni innescate, specie dal punto di vista sociale. “Il comune denominatore per avvicinarsi a queste realtà è la definizione di Rivoluzioni della dignità – spiega Stefano Rizzo, autore di un libro così intitolato sull’argomento, - dignità che è ancora un concetto pre-politico, un’aspirazione che attende una stabile istituzionalizzazione. Non ci sono scorciatoie sulla strada della conquista di libertà e istituzioni democratiche, ma non dobbiamo dimenticare che il raggio delle trasformazioni è più ampio e investe processi socio-culturali molto complessi che includono il ruolo della religione, il peso della tradizione, la differenza tra città e campagna, etc.” Per Rizzo è quindi troppo presto per fare previsioni sull’esito della Primavera araba, previsioni che inoltre devono tener conto delle diversità dei Paesi coinvolti. “Sono fiducioso nel lungo periodo, ma riconosco – aggiunge – che molte delle iniziali speranze sono andate deluse. Ci sono in alcuni casi segnali di maggiori spazi per le libertà civili e democratiche, ma altra cosa solo le libertà sociali”. Per queste ultime Rizzo conta più sul fattore globalizzazione, sulla “possibilità di integrazione effettiva, ed economica in primis, tra le due sponde del Mediterraneo”. Anche Antonio Cantaro, dell’Università di Urbino, studioso che ha contribuito alla stesura del libro “Le rivoluzioni della dignità”, insiste sulle complessità e particolarità dei singoli Paesi coinvolti nelle Primavere arabe, mettendo in guardia dal rischio “di leggere il loro sviluppo alla luce del conflitto siriano”, degenerato non solo perché vittima di infiltrazioni esterne dovute allo spaccarsi del fronte dei ribelli ad Assad, ma anche perché non governato. “Una degenerazione di un regime criminale, il cui fine – aggiunge Cremonesi – è spingere la popolazione a rivoltarsi contro gli stessi ribelli per disperazione”. 

Traccia un quadro dei profughi arrivati in Italia a seguito delle Primavere arabe Riccardo Compagnucci, vice capo dipartimento vicario del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno, che quantifica in 62.000 gli stranieri giunti nel 2011 sulle coste italiane per gli eventi di Tunisia e Libia in particolare. “Si tratta dal 5 per mille degli spostamenti mondiali registrati in un anno – afferma Compagnucci, invitando a guardare al fenomeno con “maggiore realismo”. “Le mutazioni geo-sociali – dice - potranno portare da noi più o meno persone, ma si tratterà di un numero che è niente rispetto agli squilibri socio-economici che il mondo oggi sopporta”. Per quanto riguarda gli sbarchi registrati in questi primi mesi del 2013, la maggior parte delle persone provengono dalla Libia – 603 su 82 arrivi dalla Tunisia, – disparità dovuta ad un maggior controllo dei flussi e una diversa situazione riscontrabile in Tunisia rispetto alla Libia. Si tratta di una situazione su cui occorre intervenire, evidenzia il direttore del Cir, Christopher Hein, anche considerando i pericoli corsi da coloro che fuggono dalla Libia, imbarcati su mezzi di fortuna, che causano ad oggi la morte in mare di 1 su 10 persone in arrivo. “Quando sbarcarono gli albanesi, nei primi anni ’90, l’Italia si impegnò in Albania con un investimenti importanti e con iniziative di formazione e promozione legate alla tutela dei diritti umani, del diritto di asilo e protezione; la stessa cosa dobbiamo fare oggi con la Libia – afferma il direttore del Cir, - dove nulla è cambiato nei centri di detenzione dai tempi di Gheddafi, con persone straniere trattenute arbitrariamente, in condizioni disumane”. Sul fronte dei rifugiati in particolare “occorre intervenire con strumenti che non si limitino alla repressione – prosegue Hein, che sollecita il nostro Paese, sebbene il problema dei profughi dalla Sira non tocchi ancora l’Italia, a partecipare al programma europeo già messo in campo in proposito. “Occorre predisporre un piano di contingenza per queste popolazioni e non reagire solo su emergenze già consumate, predisporre strutture e una normativa più chiara. In Italia – conclude Hein - dobbiamo attrezzarci per l’accoglienza, ma dare nello stesso tempo il nostro contributo affinché sempre meno persone si ritrovino costrette a lasciare il proprio Paese o un luogo di transito”. (Viviana Pansa – Inform)

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