CINEMA
Articolo di Carlo Di Stanislao
“Miele” a
Roseto “Opera Prima”
L’AQUILA - Ha vinto a Cannes, nella
sezione “Un Certain Regard” e, ancora ai Globi d’Oro, assegnati dall’
Accademia di Francia a Palazzo Farnese. Ha vinto a Bruxelles al Festival del
Cinema Europeo e, per il sonoro, gli è stato attribuito un Davide di Donatello.
Esordio alla regia (di un lungometraggio,
perché come autrice aveva già firmato “Armandino e il Madre”, nel 2010), di
Valeria Golino, con tutti a favore, in un film su un tema difficile e che
anzi, come scriveva Lietta Tornabuoni, proprio nella sua ultima recensione
prima di morire per “Kill me pleace” di Olias Barco, tutti vorrebberro
rimuovere dalle proprie coscienze: la morte.
Ma in “Miele” non si parla solo di morte e
di eutanasia, ma anche di vita e del coraggio che ci vuole per viverla,
attraverso una vicenda asciutta e lineare, tratta dal romanzo di Mauro Covacich
“A nome mio”, sceneggiato dalla stessa regista assieme a Francesca Marciano e
Velia Santella e prodotto dalla sua stessa casa di produzione, la Buena Onda,
fondata con Riccardo Scamarcio e Viola Prestieri.
La regia è accorta, matura, segno che lei,
Valeria, ha introiettato e movimenti e costruzioni dei vari filmaker con cui ha
lavorato: Emanuele Crialese, Barry Levinson, Margarethe von Trotta, Jerzy
Skolimowski, John Frankenheimer, Gabriele Salvatores, Mike Figgis, Silvio
Soldini, Julie Taymor, Antonio Capuano, Krzysztof Zanussi, con i suoi occhi
“femminili” concentrati sul corpo della protaginista, una straordinaria
Jasmine Trinca, con décadrages che spostano continuamente il soggetto ai
margini dell'inquadratura, catturando ancor di più la nostra attenzione.
“Miele” è il quinto appuntamento di “Opera
Prima”, festival cinematografico che si svolge a Rioseto degli Abruzzi,
ideato da Tonino Valerii (che ne cura da sempre la duirezione artistica),
giunto alla XVIII edizione, coordinato da Mario Giungo, con introduzioni, ogni
sera, da parte della poetessa Laura Bernardini e dell’avvocata Maristella
Urbani, assessore al turismo del omuyne di Roseto.
Con inzio alle 21,30, dopo un recital di
poesie dialettali, vedremo sullo schermo montato nella piazza comunale,
Irene, nome in codice "Miele", giovane donna che aiuta i malati
terminali a uccidersi e che lo fa per denaro, o meglio prende del denaro per
farlo, riceve periodicamente un nome e un indirizzo da un medico, suo ex
(Libero De Rienzo), che fa parte di un piccolo network segreto
dell'eutanasia, prende l'aereo da Roma a Los Angeles, varca il confine
con il Messico, entra in una farmacia ogni volta diversa e compra due
confezioni di Lamputal, un veleno per uso veterinario e agli
"assistiti" chiede in modo quasi rituale se sono davvero decisi a
farla finita, accompagna gli ultimi momenti con la loro canzone preferita.
Soffre di aritmia Miele, una conversione
dell’orrore di un mestiere che nessuno vorrebbe ed ha una vita da schifo, fatta
di rapporti falsi e di bugie dette al padre e all’ amante (Vinicio
Marchioni), con la necessità costante di andare in discoteca, di flirtare con
degli sconosciuti, come Diane Keaton di “In cerca di mister Goodbar”, ma
deprivatadella di sgradevolezza e pessimismo apocalittico del film di Richard
Brook.
E’ poetico “Miele” e sorprendete, più
allusivo e profondo di “Bella addormentata” e capace, per immagini, di
richiamare interrgativi profondi, come aveva fatto, in un libro nel 2010,
Michela Murgia parlandi di “accabadore”, sullo sfondo di una questione
etica tra le più delicate e drammatiche che la modernità abbia prodotto,
senza bisogno di andare alla cronaca recente, con una narrazione senza
idillio e senza retorica, senza luoghi comuni e con una fotografia (di
Gergely Pohárnok) nitida, densa e che coglie il segreto legame fra la vita e la
morte.(Carlo Di Stanislao*/Inform)
*Presidente Istituto cinematografico de L’Aquila “La Lanterna Magica”
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