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martedì 26 marzo 2013

Diritti per gli ultimi


CINEMA
Articolo di Carlo Di Stanislao
Diritti per gli ultimi

Presentato al Sundance Film Festival, nelle sale da giovedì, “Un giorno devi andare” è un “pensiero” con cui misurarsi e magari anche lottare, una morale di vita che si fa narrazione profonda. 

Un film che ci fa riflettere dalla prima scena, con una luna velata di nuvole che si dissolve in una ecografia fetale e lascia un silenzioso rimpianto sul volto di Augusta (Jasmine Trinca), italiana finita in Brasile su un battello con suor Franca (Pia Engleberth), ad evangelizzare e aiutare le popolazioni indios del Rio delle Amazzoni. Portare il cristianesimo vuol dire anche aiutarli a sbarcare il lunario, secondo una logica di carità religiosa e umana insieme che la suora accetta senza porsi tante domande (o forse perché le sembra la risposta migliore a una situazione di “povertà” spirituale e materiale insieme) ma che Augusta non riesce a fare sua. 

Giorgio Diritti, bolognese, classe 1959, si conferma autore attento e sensibile, con arguzie e sfumature che ne fanno artista al di sopra della media del cinema nostrano di questi anni, quelle stesse che avevano dato vita, a Il vento fa il suo giro, uno dei pochi “casi” del cinema italiano recente, distribuito con fatica (dopo esser stato rifiutato da alcuni grandi festival) e salutato poi da un inaspettato passaparola che gli ha garantito, se non incassi milionari, almeno una lunga – in alcuni casi lunghissima – tenitura. 

Dopo questo ha diretto L’uomo che verrà, omaggio commosso e commovente ad una pagina drammatica della storia d’Italia, doppiamente premiato (dal pubblico e dalla giuria) al Festival di Roma del 2011. 

In questo suo ultimo film, il messaggio è affidato alle donne perché la donna, secondo quanto afferma lui stesso, rappresenta la tutela della vita e una terapia: un naturale accoglimento. 

Al centro della pellicola ci sono il tema del viaggio e della comunità: elementi che connotano le opere di Diritti. "In questa, decisivi sono anche il valore della preghiera, che equivale a riconoscere il generale valore della vita, e l’integrazione totale con i luoghi filmati, ascoltati con occhi spalancati". 

Dopo aver diretto documentari e vari programmi televisivi, Diritti ha realizzato il suo primo lungometraggio 13 anni fa: “Cappello da marinaio” selezionato in concorso a numerosi festival internazionali, tra cui quello di Clermont‐Ferrand. 

Nel 1993 ha realizzato “Quasi un anno”, film per la TV prodotto da Ipotesi Cinema e RAI 1. Il suo secondo film “Il vento fa il suo giro” (2005), ha partecipato ad oltre 60 festival nazionali ed internazionali, vincendo una quarantina di premi, ricevuto 5 candidature ai David di Donatello 2008 (fra cui Miglior film, Miglior regista esordiente, Miglior produttore e Migliore sceneggiatura) e 4 candidature ai Nastri D’argento dello stesso anno. Il film rimase in programmazione al Cinema Mexico di Milano per più di un anno e mezzo. 

Parallelamente all'attività cinematografica, documentaristica e audiovisiva, Giorgio Diritti lavora attivamente in ambito teatrale dove produce e dirige vari spettacoli, uno tra questi "Novelle fatte al piano" presentato per la prima volta nel 2010 a Roma in apertura della prima edizione del Festival di lettura per ragazzi La Tribù dei lettori. Lo spettacolo creato associando, rimontando e giocando con immagini datate dagli anni Dieci agli anni Sessanta del Novecento, fa rinascere l’universo terrestre e extraterreste di Gianni Rodari, sotto forma di una drammaturgia ‘filmica’ e musicale di grande garbo ed efficacia. 

Infine, nel 2012, Diritti ha realizzato un documentario per il nuovo circuito di musei bolognesi Genus Bononiae, nel quale svela, attraverso una passeggiata virtuale per le strade e tra la gente che anima Bologna, il patrimonio che l’ha resa famosa nei secoli. 

La storia di Augusta che decide di proseguire il suo percorso lasciando la comunità italiana per andare a Manaus, dove vive in una favela ed incontra la gente semplice del luogo, tornando a percepire la forza atavica dell’istinto di vita, intraprendendo il “suo” viaggio fino ad isolarsi nella foresta, accogliendo il dolore e riscoprendo l’amore, nel corpo e nell’anima, costruisce una narrazione in cui la natura assume un senso profetico, scandisce nuovi tempi e stabilisce priorità essenziali, in chi, chi ha cuore puro, può affrontare l’avventura della ricerca di se stessa, incarnando la questione universale del senso stesso dell’esistenza umana. (Carlo Di Stanislao -Inform)

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