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lunedì 25 marzo 2013

“I miei duecento giorni con gli alpini in Afghanistan”

RASSEGNA STAMPA
Da “La Stampa.it”
“I miei duecento giorni con gli alpini in Afghanistan”
Il generale Ranieri ha guidato  la Taurinense in una delle missioni più difficili



Missione conclusa per la Taurinense in Afghanistan. Dopo sei mesi gli alpini guidati dal generale Dario Ranieri rientrano in Italia,sostituiti dagli uomini e dalle donne della Brigata Julia.

Generale, per cosa si è caratterizzata la vostra missione?

«Il contingente italiano ha operato per facilitare e concretizzare la transizione, ovvero il passaggio di responsabilità della regione occidentale dell’Afghanistan. Negli ultimi mesi le forze di sicurezza afghane hanno assunto la leadership delle operazioni in oltre il 70% del territorio. Continuiamo a operare sul terreno con attività che non sono più unilaterali ma di supporto, il che ci ha consentito di ridurre negli ultimi quattro mesi la nostra presenza nella regione da 4 mila militari a circa 2.900».

Quale aspetto della missione l’ha soddisfatta di più?

«Sicuramente la crescita delle forze di sicurezza afghane, avvenuta anche grazie all’eccellente lavoro del contingente italiano in questi anni. L’esercito e la polizia locali hanno raggiunto negli ultimi mesi la soglia dei 30 mila uomini, un numero triplicato rispetto all’ultima missione della Taurinense».

A quali progetti di assistenza avete lavorato?

«Nell’arco dell’ultimo semestre sono stati realizzati 44 progetti di infrastrutture di base, inseriti nei piani di sviluppo locali. La priorità è stata l’istruzione: nei distretti più remoti della provincia di Herat abbiamo aperto 13 scuole con 120 aule, senza trascurare altri settori importanti come la sanità, l’agricoltura e le strade. Il tutto facendo ricorso a tecnici e manodopera afghani, contribuendo allo sviluppo economico locale».

Cosa sta cambiando in Afghanistan?

«Rispetto a pochi anni fa, nella regione occidentale ci sono molti più giovani che frequentano le scuole – si pensi che l’università di Herat conta 11.000 iscritti, il 40% dei quali sono ragazze – l’accesso alle cure mediche è più facile, ci sono più attività economiche, negozi, merci e abitazioni. Per dare un’idea del cambiamento, recentemente è stata inaugurata una radio interamente gestita da donne, e ormai non c’è afghano che non possegga un telefono cellulare. Esistono ancora delle criticità e gruppi di insorti che si oppongono con la violenza all’ordine costituito delle autorità, colpendo in modo indiscriminato civili e militari. Ma la regione occidentale dell’Afghanistan è cambiata sicuramente in meglio».

Ha una recriminazione per qualcosa che non siete riusciti a concludere?

«Alla fine si pensa sempre che si sarebbe potuto fare di più e meglio, ma ritengo di poter dire che gli uomini e le donne della Taurinense, insieme agli altri militari delle nostre forze armate e a quelli stranieri sotto il mio comando, hanno dato il massimo e hanno fatto tutto quello che era nelle loro possibilità e i risultati non sono mancati».

Qual è il futuro della missione italiana?

«La missione continuerà nella forma attuale fino alla fine del 2014. In questo periodo si passerà ancora di più da un ruolo operativo sul terreno ad uno di supporto, facendo leva sulla maggiore autonomia delle forze di sicurezza afghane, che nella regione occidentale godranno del sostegno italiano con assetti ancora in fase di sviluppo».

Che cosa resterà del legame che si è creato tra Taurinense e Afghanistan?

«Oltre al Comando, tutti i reggimenti della brigata sono stati impiegati almeno una volta qui in Afghanistan. In questo semestre il 2° alpini di Cuneo, il 3° di Pinerolo e il 9° dell’Aquila hanno operato sul terreno a fianco alle forze di sicurezza afghane e al 32° genio guastatori di Torino, specializzato nella lotta agli IED, mentre il 1° artiglieria da montagna di Fossano ha condotto il Provincial Reconstruction Team, l’unità che ha realizzato i progetti di assistenza. Abbiamo sempre lavorato con costanza, affrontando molti rischi. Negli ultimi anni la Taurinense ha perso undici uomini, in Afghanistan, ma il loro sacrificio non è stato vano. Questo Paese non ospita più le basi di addestramento di Al Qaeda e il regime talebano è tramontato. Con il tempo, i progressi e le sfide di questo popolo sono diventati un po’ anche nostri e credo che rimarrà un legame duraturo nel tempo con questa terra talvolta aspra ma bella».

Qual è stato il momento più toccante della missione?

«Sicuramente il lutto per la perdita del 1° Caporal maggiore Tiziano Chierotti, caduto a Bakwa lo scorso 25 ottobre. Il sacrificio di un ragazzo di poco più di vent’anni mi ha fatto capire quanto i nostri militari siano disposti a pagare per quello in cui credono. È un sentimento che non si riesce ad esprimere, una lezione che non si dimentica mai. C’è un altro momento, più lieto, che ricordo: il passaggio della base operativa di Bakwa – proprio quella in cui prestava servizio Tiziano – ai militari afghani. La suggestione provata nel vedere il loro tricolore sostituire il nostro è stata forte, un momento toccante e significativo, un segno di continuità e al tempo stesso la volontà degli afghani di prendere il futuro nelle proprie mani». (Guido Novaria-La Stampa.it del 24 marzo 2013)

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