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mercoledì 24 aprile 2013

A Roma un approfondimento sull’emigrazione italiana in Argentina


ITALIANI ALL’ESTERO
A Roma un approfondimento sull’emigrazione italiana in Argentina

In occasione dell’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio, figlio di emigrati piemontesi, alla Società Geografica Italiana sono stati presentati due volumi che ripercorrono la complessità del fenomeno che da oltre un secolo lega i due Paesi

ROMA – L’elezione al soglio pontificio di Jorge Mario Bergoglio, figlio di emigrati piemontesi in Argentina, offre l’occasione per tornare a riflettere sull’emigrazione italiana oltreoceano, tema approfondito recentemente in due volumi presentati ieri a Roma presso la sede della Società Geografica Italiana. Si tratta del fascicolo monografico del bollettino della Società Geografica Italiana curato da Luciano Gallinari e Luisa Spagnoli “L’emigrazione italiana in Argentina. Percezione e rappresentazione” (2011) e del volume “Un ponte sull’oceano. Migrazioni e rapporti economici fra Italia e Argentina dall’Unità ad oggi” curato da Ilaria Zilli, raccolte di studi dal carattere multidisciplinare che tentano una ricostruzione della complessità del fenomeno, fortemente caratterizzante le relazioni tra il nostro Paese e l’area sudamericana. 

Ad intervenire nel corso dell’iniziativa, moderata da Franco Salvatori, già presidente della Società Geografica, la studiosa di geografia delle migrazioni Flavia Cristaldi, docente all’Università Sapienza di Roma, che ha segnalato come i testi offrano l’opportunità di analizzare il fenomeno da molteplici punti di vista. Tra essi quello quantitativo e umano, affiancando alle cifre dell’esodo una raccolta di cartoline che rivelano le vicende personali dei protagonisti, e quello di genere, che evidenzia la presenza spesso “invisibile”, eppure consistente, delle donne e il loro coinvolgimento nel lavoro, sia da emigrate – la loro percentuale tra gli emigrati italiani in Argentina cresce dal 10% registrato nel 1865 al 35% nel giro di soli 10 anni, – occupate in fabbrica, nei campi oppure in casa, come sarte o in attività di ricovero ed ospitalità per i connazionali migranti, oppure in Italia. L’emigrazione – vissuta in prima persona o subita (con l’assenza del coniuge) - fu in parte anche opportunità di emancipazione femminile: perché la donna cominciò a contribuire al reddito familiare oppure a cavarsela da sola, spesso anche con il lavoro nei campi, quando il coniuge era assente per lavorare altrove. Anche in Argentina l’emigrazione assunse spesso il carattere di progetto a termine: “molti lavoratori agricoli – spiega Flavia Cristaldi – approfittavano della stagione invernale per emigrare e lavorare la terra oltreoceano, dove contemporaneamente cominciava la stagione estiva, e tornare poi in Italia con qualcosa da parte”. Richiamata anche la vicenda familiare di Papa Francesco: “il papà parti nel 1929 dal porto di Genova, lo stesso Papa Bergoglio disse di aver visitato anni fa la sua terra di origine, in Piemonte, e di aver conservato un pugno di terra. Così facevano molti emigranti, portavano con sé semi o prodotti della propria terra per poi farli crescere nei luoghi di arrivo, e grazie a questi gesti oggi ritroviamo pezzi di italianità in tutto il mondo – afferma Cristaldi, segnalando come i piemontesi siano il gruppo regionale più rappresentato in Argentina. Richiamato anche il ruolo della Società Geografica Italiana in questo contesto: “oltre all’interesse scientifico per i luoghi di arrivo, la Società intendeva tutelare i protagonisti dell’esodo, descrivendo ciò che li aspettava – segnala Cristaldi, evidenziando come tale descrizione spesso fosse in controtendenza con ciò che gli “agenti” promotori dell’emigrazione prospettavano, dipingendo situazione irrealistiche e mitiche. Sulla dimensione umana dell’emigrazione si è soffermato padre René Manenti, direttore del Centro Studi Emigrazione di Roma, che ha ricordato la vicinanza della Chiesa ai migranti, vicinanza che ha consentito anche una più approfondita conoscenza del fenomeno – il centro scalabriniano, ha ricordato Salvatori, è ancora oggi punto di riferimento importante per gli studiosi dell’emigrazione italiana. “Si richiamano spesso i lati drammatici dell’emigrazione, ma non possiamo dimenticare che i nostri connazionali, spesso a costo di grandi sacrifici e duro lavoro, hanno contribuito al progresso dei luoghi in cui si sono integrati e hanno realizzato percorsi di successo per loro e i loro figli – afferma padre Manenti, segnalando poi l’impatto delle norme che regolano l’immigrazione sullo strutturarsi dei “confini immaginari” che separano gli Stati. “Quando si parla di drammi che accompagnano molti dei migranti anche oggi, conta così tanto la nazionalità? – si chiede, invitando alla riflessione sulla legge che in Italia concede la cittadinanza italiana ai figli degli stranieri solo quando essi abbiano compiuto i 18 anni di età. 

Discendente di piemontesi emigrati in Argentina anche David Fabio Esborraz, giurista al Cnr e presso il Centro di Studi Giuridici Latinoamericani dell’Università degli Studi di Tor Vergata a Roma, che ricorda come l’immigrazione sia sempre stata concepita quale fattore positivo dalla società argentina. “Con l’immigrazione il Paese ha cambiato il proprio volto, modernizzandosi e arricchendosi – afferma Esborraz, soffermandosi sulle varie fasi dell’emigrazione italiana, da quella definita “eroica” e colonizzatrice degli ampi spazi della pampa gringa, a quella che andò ad accrescere la popolazione urbana, di Buenos Aires o altri centri cittadini. Richiamate anche le modalità con cui il governo argentino favorì, anche attraverso la Costituzione e leggi relative alla colonizzazione dei suoi territori, l’arrivo delle popolazione europee. “La rapida integrazione degli italiani, prima e più numerosa collettività straniera presente in Argentina, è testimoniata dal fatto che già nel 1890 si ebbe il primo presidente di origine italiana, Carlos Pellegrini, figlio dell’emigrazione intellettuale risalente agli anni Venti dell’Ottocento – prosegue, rilevando come la scolarizzazione di massa fu un veicolo importante per l’integrazione. Evidenzia poi come molte tradizioni italiane siano diventate argentine e come lo stesso spagnolo parlato nel Paese sia “fortemente inquinato da espressioni italiane e dialettali italiane”. “Il paese in cui sono nato, Angelica, fu fondato da coloni piemontesi alla fine dell’Ottocento. Quando sono stati festeggiati i 100 anni della sua fondazione ci fu un gemellaggio con un comune piemontese: i dialetti parlati erano così diversi da riuscire difficilmente comprensibili l’uno all’altro – prosegue Esborraz ancora a proposito dell’influenza culturale e linguistica apportata dagli emigrati italiani in loco. Il fenomeno migratorio ha poi investito e costruito l’identità nazionale argentina, spesso anche in modo traumatico. “Noi diciamo che è per questa complessità che l’Argentina è il Paese in cui ci sono più psicologi – afferma ironicamente Esborraz, segnalando di guardare all’Italia “più come una zia, che non come ad una madre”. “Una zia più giovane della madre (la Spagna) e con cui – sostiene - il rapporto è più affettivo e meno conflittuale, con cui si è molto indulgenti. Però, una volta in Italia - aggiunge, - non possiamo che rimanere delusi del fatto che questo nostro Paese ci consideri come stranieri ed abbia rimosso in gran parte questa sua storia”. 

Ha richiamato i tratti salienti emersi nel corso del dibattito e dalla lettura dei due volumi Gino Massullo, storico della società rurale italiana: “parole d’ordine che contraddistinguono l’emigrazione italiana in Argentina – afferma - sono la sua precocità, l’intensità, la continuità, la forte integrazione e i percorsi di successo molto frequenti”. Massullo richiama la numerosa e importante schiera di imprenditori italiani o di origine italiana in Argentina, il cui successo è stato determinato anche “dall’importante ruolo svolto dal Paese d’accoglienza” e dalle forti relazioni instaurate tra i primi e il potere pubblico. Tra le varie dimensioni dell’emigrazione, si sofferma poi su quella “comunitaria”: “più che singoli individui in fuga, troviamo qui migrazioni basate su un progetto di tipo familiare, progetti quindi che comportavano un minimo di investimento e che senza quel sostegno non sarebbero stati possibili – afferma Massullo. “Un ponte sull’oceano” è dunque significativo di questa “strategia comunitaria”, ed indica un legame stabile tra due poli, legame che unisce le persone ed i progetti di vita, siano essi imprenditoriali o più semplicemente familiari. Questa stessa dimensione alimentò l’associazionismo dei connazionali, che spesso offrì “ai maggiorenti della collettività un luogo per l’avvio di una carriera politica”. 

Presenti all’incontro anche le curatrici Luisa Spagnoli e Ilaria Zilli, che hanno ringraziato i presenti per gli spunti offerti dagli interventi, mentre dalla segreteria di Stato vaticana è arrivato un messaggio di ringraziamento per l’omaggio reso a Papa Francesco. (Viviana Pansa – Inform)

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