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martedì 29 ottobre 2013

Anna Rita Boccafogli incontra i Q’ero, gli ultimi discendenti degli Incas


NOVITA’ EDITORIALI
Anna Rita Boccafogli incontra i Q’ero, gli ultimi discendenti degli Incas
“Nel grembo delle Ande”

FORMIGINE (Modena) - Un viaggio alla ricerca di un popolo, ma soprattutto di se stessi, la preparazione alla vita a 5.000 metri di altezza, i paesaggi andini, una lingua che sembra magica: Anna Rita Boccafogli incontra i Q’ero, gli ultimi discendenti degli Incas. Prima però, è necessaria una precisa preparazione: prove, rituali, danze, movimenti, visioni, contatto diretto con gli spiriti della natura: dagli Apu delle montagne a Pachamana, la Grande Madre.
L’autrice ci offre un’esperienza vissuta in prima persona e unica, accompagnata dalle immagini che lei stessa ha potuto immortalare. La prima spedizione in Perù alla scoperta dei Q’ero e altri viaggi successivi danno vita a “Nel grembo delle Ande”, appena pubblicato per i tipi di  Infinito Edizioni.
Anna Rita, il libro parla del tuo viaggio in Perù alla scoperta dei Q’ero, gli ultimi discendenti degli Incas. Come è stato possibile avvicinarsi a questo popolo? Quali sono state le tue prime sensazioni ed emozioni?
Ho avuto accesso alla comunità di Q’ero grazie alla mediazione di Don Américo Yabar, che ci ha preparato a comprendere i princìpi della cultura Q’ero e della tradizione andina, attraverso pratiche di meditazione e contatto con le diverse dimensioni dell’energia naturale, parlandoci a lungo e portandoci in luoghi particolarmente significativi per la tradizione e per la loro qualità ‘energetica’. Infine ci ha accompagnati ad alcuni dei più elevati villaggi Q’ero, per incontrare diversi maestri e partecipare a varie cerimonie rituali.
Nel libro possiamo vedere anche noi i Q’ero: hai scattato tu le foto che troviamo tra le pagine?
Sì, ho voluto fissare in immagini preziose, per me, i luoghi e i volti e i momenti di quel ‘sogno’ che ho vissuto, forse per renderlo più concreto, testimoniarlo, riviverlo. Ho scattato le foto alle cerimonie e ai maestri Q’ero con tutta la mia riverenza, temendo fosse per loro poco rispettoso, come se la foto fosse un appropriarsi dell’anima, carpire un tesoro sacro. La loro disponibilità però mi ha confortato. Nei paesaggi è proprio la sacralità che ho voluto racchiudere in un’immagine.
Nella seconda parte del libro parli di una ricerca per risvegliare l’energia salka, di cosa si tratta?
Salka è un termine quechua che Don Américo traduce come ‘energia allo stato selvaggio.’  È la nostra dimensione libera, originaria, non-addomesticata, che sopravvive in noi anche se abbiamo dovuto imparare ad essere ‘addomesticati’ e viviamo prevalentemente in questa dimensione. Fa riferimento alla sana istintualità; si esprime con la bellezza, la vitalità, la grazia, l’apertura a sentire pienamente la vita. Salka è fiducia nella vita. Un senso di fiducia basilare nella ‘bontà’ della vita. È una forza arcaica, semplice, poetica, cosmica, presente in molte forme e dimensioni. Noi facilmente associamo ‘selvaggio’ a qualcosa di violento, aggressivo, feroce o distruttivo; al contrario qui si tratta di ciò che ci avvicina alla nostra integrità, nel modo più semplice, naturale, umile. Américo afferma infatti che: ‘Nulla è più salka di un colibrì.”
Apu, Waira, Munay, ayni, Pachamama: il tuo libro è ricco di linguaggio andino. Che significati racchiudono queste parole-chiave?
I termini con cui i Q’ero chiamano elementi naturali, sentimenti, spiriti della terra o del cielo, sono carichi della relazione appassionata che essi creano con il mondo. Immergendomi nel mondo andino, nel paesaggio, nell’idealità e nel cuore della cultura Q’ero, sento questi nomi come parte integrante del significato che portano, il loro suono è messaggero dell’intima essenza del loro significato. Diventano come i mantra delle pratiche orientali, acquistano sacralità poiché indicano una relazione sacra con la vita, in tutte le sue manifestazioni.
Anna Rita, tu dici che il tuo libro è “la storia di un messaggio sussurrato nel cuore delle montagne e portato dal vento attraverso gli oceani, ovunque”. Da questa esperienza scaturisce anche un ulteriore insegnamento sul senso del viaggio e del ritorno, qual è?
Accedere e partecipare a una visione del mondo così alta e insieme profonda, rende possibile ampliare l’orizzonte in cui la vita s’inscrive: la mia sensazione dopo l’esperienza a Q’ero è “la voglia di esistere con più libertà, con più amore” sentendo che queste possibilità sono dentro di me, dipendono da una mia disposizione interiore, prima di tutto. Allora, il confine tra il dentro e il fuori diviene più permeabile, il confine tra me e l’altro diviene più percorribile. Meno necessità di chiudere e difendersi; le cose ‘pesanti’ della vita feriscono di meno, e comunque posso lasciarle andare e fare spazio alla bellezza che vive attorno a me, concederle di rivelarsi nelle piccole cose, come nella dimensione dell’infinito.(Luca Leone-infinitoedizioni.it/ Inform)

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