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venerdì 1 marzo 2013

Gli italiani di New York raccontati da Maurizio Molinari


ITALIANI ALL’ESTERO
Gli italiani di New York raccontati da Maurizio Molinari
In un’intervista a Umberto Mucci su “L’Opinione” il corrispondente de La Stampa traccia un profilo delle identità italiane che convivono nella Grande Mela

NEW YORK – In un’intervista di Umberto Mucci a Maurzio Molinari, corrispondente per La Stampa da New York, un breve profilo degli italiani che vivono nella Grande Mela, raccontati dal giornalista anche nel suo libro “Gli italiani di New York”, edito da Laterza. 

“A New York convivono tante e diverse identità italiane, ognuna delle quali è congelata in un diverso tempo storico – afferma Molinari nell’intervista pubblicata sul sito internet del quotidiano L’opinione delle Libertà. “Ci sono gli italiani discendenti dei primi immigrati, oggi pienamente integrati e legati alla terra d’origine solo dal sapore di particolari piatti. Vi sono gli italiani arrivati nel secondo dopoguerra, che temono di avere figli che non conoscono la lingua di Dante. E vi sono gli italiani arrivati negli ultimi 20 anni, uguali in tutto e per tutti a chi vive e risiede nello Stivale. E ancora: ognuno di questi gruppo è a sua volta diviso per origine regionale, abitudini alimentari, professioni, hobby. New York è l’unica città al mondo dove tante e così differenti versioni dell’identità italiane si ritrovano a vivere nello stesso spazio. Inclusa quella di chi italiano non è: come gli studenti asiatici o afroamericani che affollano i corsi di italianistica negli atenei di New York sperando di impossessarsi di qualche aspetto delle nostre identità, storia, cultura o arte”. 

Molinari spiega inoltre come ciascuno di questi gruppi sia portatore di istanze diverse: atteggiamenti di rimprovero sono quelli nutriti dagli emigrati di più antica data, discendenti di quelli arrivati fra la fine del XIX e inizio del XX secolo, che sentivano di essere stati obbligati a fuggire da miseria e povertà, e sentono ancora di non aver suscitato l’interesse della loro terra di origine, che ha ignorato i sacrifici affrontanti nel Nuovo Mondo; quelli giunti nel secondo dopoguerra “chiedono all’Italia più aiuti, soprattutto fondi, per consentire a figli e nipoti di studiare l’italiano, ovvero la lingua nella quale riconoscono la propria identità”; infine “i nuovi professionisti, ricercatori, docenti che hanno avuto successo in America e rimproverano al Paese d’origine di non avergli saputo offrire le opportunità che cercavano”. 

Segnalata anche la presenza irregolare di italiani, giunti in cerca di lavoro a New York con un visto turistico che scade dopo 90 giorni. Questi spesso “scelgono di restare per fare i camerieri o i muratori e così diventano clandestini senza neanche accorgersene”. “Per la polizia di New York gli italiani in queste condizioni sono migliaia – spiega Molinari. “Il loro timore è essere fermati, identificati e deportati. Anche perché c’è chi sta creando delle famiglie. Quando hanno un serio problema di salute esitano ad andare in ospedale, quando hanno un lutto o una gioia famigliare in Italia non possono esserne parte. Si tratta di vite difficili. Alcuni di loro cercano consiglio nelle Chiese cattoliche di Brooklyn, altri pagano cifre esorbitanti per sposare un cittadino americano per riuscire a legalizzarsi. E’ una piaga italiana della quale in Italia si discute raramente. Forse perché – conclude il corrispondente - l’interrogativo più amato che ci pongono è perché sono obbligati ad andare altrove per avere un semplice stipendio”. (Inform)

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