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venerdì 27 settembre 2013

New York anela quarto sindaco democratico


PARTITI

Da “PD/Cittadini nel mondo”, notiziario del Partito Democratico per gli italiani all’estero, del 27.9.2013.

Un articolo di Silvana Mangione

New York anela quarto sindaco democratico

NEW YORK - Nel paese della tecnologia, una settimana dopo le primarie dei Democratici per la scelta del candidato a sindaco di New York non si avevano ancora i dati definitivi, malgrado si usino macchine che registrano automaticamente il voto e ci sia personale addetto a contare le preferenze delle “Absentee ballots”, le schede che ogni elettore può richiedere in anticipo e rispedire al Voting Board, se pensa di non potersi recare al seggio il secondo martedì del mese di settembre, data da sempre fissata per la consultazione che seleziona i candidati finali per i diversi partiti.

Una settimana dopo le primarie, finalmente, Bill Thompson, l’unico candidato afro -americano in corsa, con il 26% dei voti, concede la vittoria a Bill de Blasio, l’italo-americano per parte di madre, che ha raggiunto la soglia fatidica del 40% e perciò ha evitato il ballottaggio. L’annuncio, in pieno stile USA, è fatto sui gradini del Comune, dove il Governatore democratico Andrew Cuomo stringe e solleva le mani di ambedue i contendenti, e Bill Thompson promette di fare campagna elettorale a favore dell’altro Bill.

La iniziale favorita, Christine Quinn, prima donna presidente del Consiglio Comunale e dichiaratamente gay, arriva terza, seguita da John Liu, il primo cinese eletto Controller di New York e Anthony Wiener che ha distrutto una possibile fulgida carriera politica pubblicando a più riprese su Internet foto adamitiche di se stesso. Sono passati vent’anni dal termine del mandato dell’ultimo sindaco democratico (e primo afro-americano) di New York, David Dinkins e dodici anni di regno di Michael Bloomberg, il plurimiliardario ex-democratico, ex-repubblicano, pseudo-indipendente, succeduto al più che conservatore Rudy Giuliani. La città sembra anelare ad un sindaco democratico, come de Blasio, sposato con una poetessa e attivista politica afro-americana e padre di due figli dagli aulici nomi italiani: Dante e Chiara. Il suo oppositore, il candidato repubblicano Joe Lhota che, come de Blasio, si è costruito un notevole cursus honorum, porta il peso di essere stato per tutto il 2012 presidente della MTA – la Metropolitan Transit Authority – l’ente che gestisce il massiccio sistema di trasporti pubblici newyorchesi e che continua ad alzare il costo del biglietto, arrivato ormai a $2,50 a corsa, mentre giornali e cittadinanza insieme denunciano gli sprechi e i salari megagalattici degli amministratori.Vedremo. Sarà di certo una battaglia interessante e, per la prima volta da molto tempo a questa parte, la comunità di origine italiana sembra intenzionata a far sentire la sua voce unita in appoggio a questo omone alto due metri e dedito a proteggere la vita delle fasce più deboli della società. Un trionfo sperato il suo, che ci regalerebbe il quarto Sindaco italiano di New York dopo Fiorello LaGuardia (in carica dal 1933 al 1945), Vincent Impellitteri (1951-53) e Rudolph Giuliani (1994-2001). Hasta la victoria siempre, Bill!

Mentre si svolgeva lo psicodramma di Thompson, Washington non stava certamente meglio. Tutti conoscono la mia opinione nei confronti del Presidente Obama.

Non credo e non crederò mai che una persona con scarsa esperienza politica alle spalle possa diventare il Presidente degli Stati Uniti, o di qualsiasi altro Paese, e fare un buon lavoro fin dall’inizio. La gavetta è una cosa sacrosanta ad ogni livello. Non basta salire su un palco e urlare: “Sì, possiamo!” senza mai raccontare che cosa. A cinque anni dal suo primo mandato, riconfermato nel 2012, Barack dovrebbe aver imparato come funzionano le trappole repubblicane.

Dovrebbe aver capito Washington, città crudele, che non perdona gli outsider che si dimostrano più saccenti che creativi. Dovrebbe riconoscere subito le insidie offerte dal quadro delle conflittualità internazionali alla luce dei più o meno legittimi interessi di altre potenze mondiali.

Eppure ci ricasca ogni volta. Parte in quarta, promettendo di mettere in ginocchio la Siria (anche senza l’appoggio dell’ONU) per l’uso delle armi chimiche – un obiettivo fondamentale e ampiamente condiviso dalle democrazie amiche – e sbatte prima contro la lobby conservatrice per la quale qualsiasi cosa Obama cerchi di fare va contrastata fino all’ultimo respiro, anche se è valida.

Poi scopre di non avere dietro di sé l’opinione pubblica, che in un recente sondaggio del New York Times si esprime in questo modo:

Domanda: Pensi che gli USA debbano assumere la leadership degli altri paesi del mondo per cercare di risolvere i conflitti internazionali? Risposta: a favore il 34%, contrari il 62%, incerti 5%;

Domanda: Ritieni che gli USA debbano cercare di trasformare una dittatura in democrazia o che non debbano interferire negli assetti politici di altri paesi? Risposta: il 15% vuole intervenire dove si può; il 72% è contro ogni intromissione; il 7% pensa che dipenda dalle diverse situazioni, il 6% non ha alcuna opinione.

Domanda: Credi che l’Amministrazione Obama abbia spiegato chiaramente gli obiettivi degli USA in Siria? Risposta: 15% sì; 79% non ancora; 8% nessuna opinione.

Mentre scrivo, è stata resa pubblica la nota del segretario generale Ban Ki Moon sul rapporto degli esperti inviati in Siria, che hanno accertato l’imponente uso di armi chimiche da parte di Assad.

Ban Ki Moon, però, conclude con un monito pesante che traduco e trascrivo: “Quando viene denunciato l’uso di armi chimiche, tuttavia, la comunità internazionale si rivolge alle Nazioni Unite per ottenere una determinazione imparziale ed oggettiva del se e in quale misura tali asserzioni possano essere sostanziate. È quindi obbligo inderogabile che l’autorità conferita al Segretario Generale dall’Assemblea Plenaria (A/RES/42/37 C), confermata dal Consiglio di Sicurezza (S/RES/620 1988) continui ad essere rispettata e che i meccanismi in essa individuati continuino ad essere rafforzati.

Il Segretario Generale è convinto che un efficace meccanismo di investigazione dell’uso di armi chimiche possa servire da importante deterrente contro il loro sfruttamento”.

Non potrebbe essere più chiaro di così. E nel suo discorso alla nazione di martedì 11 settembre, Obama ha chiesto ai portavoce del Congresso federale di rinviare il voto sull’autorizzazione a compiere un attacco militare, ben sapendo che non l’avrebbe ottenuta, e ha affermato per la prima volta che non avrebbe agito militarmente prima di aver letto il rapporto degli ispettori dell’ONU.

Il rapporto è arrivato. Un accordo sembra essere stato raggiunto con la Russia. L’Assemblea plenaria dell’ONU è in corso. Ora vedremo. (Silvana Mangione- PD Cittadini nel mondo del 27 settembre 2013 /Inform)

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