ACCADEMIA ITALIANA DELLA CUCINA
Cultura e tradizione in convivio
L’intervento del prof. Ernesto di Renzo
introdotto da Franco Santellocco
AVEZZANO – Si è svolta in una atmosfera di particolare calore ed amicizia la tradizionale attesissima 'Cena Ecumenica' dell'Accademia Italiana della Cucina, evento accademico che con la 'Cena degli Auguri' di dicembre e la 'Cena della Cultura' di marzo, costituisce una triade di conviviali aventi ciascuna specifiche caratteristiche culturali.
Con la 'Cena Ecumenica' si celebra l'universalità della Cucina Italiana, declinata sul tema comune d'ispirazione ed in contemporanea in tutto il mondo.
È questo il punto sul quale si è soffermato il delegato conte Franco Santellocco Gargano nel suo discorso introduttivo richiamando l’altra Italia che vive fuori dai confini Nazionali: vive, pensa, veste e “mangia italiano”. Essi rappresentano i veri sensori del mady in Italy che concorrono, anche nel settore Enogastronomico a consolidare un fatturato con molti zeri. Ha citato peraltro come il sito web specializzato in ricette che negli ultimi cinque anni ha registrato ben 5 milioni di visite alla ricetta delle lasagne.
Il tema quest'anno: "La cucina delle carni da non dimenticare" .
Presso la “Osteria Mammaròssa” di Avezzano, giovedì 17 ottobre, il Simposiarca designato per l’evento Massimo Nicolai ha accolto, con il delegato Franco Santellocco, gli accademici per la serata “ A cena con il Quinto Quarto”.
Il menu è stato curato dallo chef Franco Franciosi, titolare con la sorella Daniela, dell'Osteria Mammaròssa, annoverata da quest'anno nella prestigiosa Guida 'Il Gambero Rosso': la qualità delle portate proposte sono riuscite a rendere esclusiva una dimensione della gastronomia a torto ritenuta” poco nobile” e di gusto.
“Ogni volta che l'Accademia Italiana della Cucina varca la soglia di Mammaròssa per noi è motivo di orgoglio e stimolo a migliorare, ha sottolineato lo chef Franco Franciosi: vedo la Delegazione di Avezzano cresciuta, con una visione più definita della sua vera mission, tutto questo grazie all'egregio lavoro del delegato uscente Giuseppe Cristofaro che con professionalità e pazienza ha creato le basi e, siamo sicuri che il delegato attuale, Franco Santellocco Gargano, saprà portarla molto in alto,rendendola più preparata, giovane, scientifica e, perché no, più internazionalizzata”. Particolarmente attento il lavoro di Massimo Nicolai che ha impreziosito e illustrato, dal punto di vista scientifico e non solo le varie prelibatezze.
Pure il simposiarca ha proposto una riflessione sull’articolo “ Etica della Critica Gastronomica “ del Presidente nazionale Ballarini.
Relatore d'eccezione della serata, il prof. Ernesto Di Renzo ( docente di discipline antropologiche all'Università di Roma Tor Vergata ) che ha trattato il tema "Le cucine degli avanzi tra gusto per le necessità e gusto per il lusso". Il relatore che con il suo intervento ha letteralmente “catturato” accademici ed ospiti, ha esordito precisando che la cucina del quinto quarto, basata sul consumo di frattaglie ovine, bovine, suine e avicole (corata, cervello, lingua, coda, trippa, intestini, animelle, milza, rognoni), ha per secoli contraddistinto i “gusti della necessità” del mondo popolare fino all’avvento del boom economico. A partire dagli anni 50-60 del Novecento, infatti, si è volutamente smesso di mangiare questo cibo e altri piatti della tradizione per aderire a un modello alimentare più moderno, occidentale, cittadino, “americano”. Le frattaglie, così come del resto anche i dialetti, le feste paesane e la musica popolare, sono state cioè associate ad un modo di vita antiquato, retrogrado, anti-moderno da cui si voleva prendere il più possibile congedo.
Da alcuni anni a questa parte, tuttavia, e soprattutto dopo aver positivamente superato la sindrome della mucca pazza, le cose stanno progressivamente cambiando: non soltanto le frattaglie hanno assunto piena dignità gastronomica e nutrizionale ma si sta assistendo anche a uno spostamento nella dimensione sociale del loro consumo. In pratica il quinto quarto, la cucina degli scarti, la cucina popolare per eccellenza è tornata a essere irresistibilmente in voga, connotandosi come un modo raffinato e culturally correct del mangiare. Un modo che sembra attrarre soprattutto i ceti abbienti urbani detentori di quelli che il sociologo francese Pierre Bourdieu ha definito “gusti del lusso o della libertà”.
Il quinto quarto, cioè, per l’intersecarsi di tutta una serie di tendenze ideologiche, sociali e economiche che hanno a che vedere con la post-modernità, la neoruralità, il neofolklore, il bisogno di sostenibilità ambientale e la necessità di un recupero delle radici identitarie, è diventato un marcatore di status e un segno di distinzione sociale alla cui preparazione attendono non già le cuoche di casa bensì chef pluristellati come il famoso Davide Oldani o il celeberrimo René Redzepi, che proprio nell’estate del 2013 a Copenhagen ha voluto dedicare ai “Guts” un simposio internazionale tra esperti ed amanti della gastronomia.
Avviandosi alla conclusione ha precisato che non solo le frattaglie hanno riacquistato piena dignità gastronomica ma hanno assunto anche il connotato di cibo sano, etico e identitario. Sano in quanto stomaci, milze, polmoni e midolli, benché considerati una parte meno nobile dell’animale rispetto a girelli, lombate, filetti e fettine, contengono elementi di elevato valore nutrizionale come sali minerali e vitamine (è per questo che popoli di cacciatori come gli Inuit, che vivono in ambienti privi di vegetali ma che si nutrono di interiora di animali uccisi, non soffrono di patologie da carenza vitaminica come lo scorbuto o la pellagra). Etico in quanto la loro riassunzione sulle tavole, opponendosi al consumismo e allo spreco con il quale la contemporaneità si rapporta alle risorse alimentari, costituisce un contributo alla sostenibilità del pianeta e al recupero delle biodiversità. Indentitario in quanto esprimono un modo di mangiare coerente con i valori della tradizione e delle culture del territorio. In questo senso mangiare frattaglie significa aderire a una tendenza revivalistica in atto nell’intero pianeta che individua nei concetti di località, tipicità, ruralità ma anche semplicità e frugalità, i modi più efficaci di opporre resistenza alle pratiche omologative e standardizzanti poste in essere dalla globalizzazione. Il prof. Di Renzo ha dato recentemente alle stampe (Per i tipi della Universitalia) due volumi: “Mangiare l’autentico. Cibo e alimentazione tra revivalismi culturali e industria della nostalgia” ed ancora “ Mangiare all’italiana, nutrirsi mediterraneo”. (Inform)
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