Per il reindirizzamento cliccate link to example

venerdì 20 dicembre 2013

Pluralismo linguistico e prospettive educative. Riflessioni a margine


CSER

Pluralismo linguistico e prospettive educative. Riflessioni a margine

Tavola rotonda del 12 dicembre 2013. Presentazione di Studi Emigrazione n. 191

 

ROMA - La tavola rotonda di giovedì 12 dicembre al Centro Studi Emigrazione di Roma (v. Inform del 3 dicembre, http://comunicazioneinform.blogspot.it/2013/12/la-migrazione-globale-delle-lingue.html, ndr) ha avuto un inatteso successo di pubblico. Sebbene le manifestazioni studentesche avessero bloccato la città e l’on. Rossi Doria, convocato d’urgenza al Ministero dell’Interno, non sia potuto intervenire, i presenti non hanno mancato di riempire la sala e i corridoi.

Il resto della cronaca comprende il ritardo dei relatori, degli interessati, tra cui diversi docenti universitari ed esponenti del mondo istituzionale; dello stesso prof. Vedovelli, arrivato da Siena con un bus di collaboratori e studenti, che si sono dovuti fare un paio di chilometri a piedi per arrivare fin qui.

Ma del pluralismo linguistico si è parlato, come si voleva, costatando con soddisfazione che l’argomento è vivo, che riscuote l’interesse di molti, a differenza di quanto può far pensare un diffuso clima di scoraggiamento.

La sensibilità all’accoglienza degli immigrati in Italia è presente e diffusa più di quanto non sembri, ha osservato in apertura il prof. De Mauro. Le cifre, da assumere ma da non assolutizzare, parlano ormai di una popolazione straniera residente e della necessità di porsi su un piano di “interazione” paritaria che sviluppi relazioni di reciprocità. “Gestire la pluralità a partire dalla pluralità delle lingue, senza gerarchie tra un plurilinguismo buono (da ricchi) e uno cattivo” è la sfida che ci sta davanti, per “togliere le disparità” (prof. Ferreri) e favorire l’espressione delle diversità.

Nelle società complesse. il postulato di una formazione per tutti deve essere collegato al discorso della formazione interculturale, se si vogliono affrontare concretamente le sfide di una formazione impartita il più equamente possibile e il superamento delle disuguaglianze sociali. L’integrazione infatti non va intesa come un rapporto unilaterale di adattamento delle popolazioni immigrate rispetto alla maggioranza, ma nemmeno come un processo di livellamento delle differenze, che, per un malinteso senso di rispetto, finisce per cancellare le diversità, comprese quelle religiose. Noi non crediamo sia questa la strada: è più facile eliminare ciò che disturba che educare al rispetto dell’altro e del suo mondo.

Proprio il tema dell’educazione linguistica e della salvaguardia delle lingue minoritarie porta in questa direzione: la società del futuro non potrà essere costruita sulla cancellazione delle differenze né linguistiche né culturali né religiose. Bisognerà piuttosto trovare un modo nuovo di convivere. Nuovo nel senso proprio del termine: che ancora non c’è stato e tuttora non c’è. Bisognerà imparare a convivere in società eterogenee, anche se – come ci hanno ricordato i relatori – in Italia l’omogeneità linguistica (e culturale) è stata ed è più una rappresentazione mentale che una realtà provata. Basti pensare all’estrema varietà dei dialetti che connotano le diverse regioni, città e paesi della penisola da Nord a Sud.

La pedagogia interculturale, dopo essere stata, almeno inizialmente, la “pedagogia per i bambini stranieri”, si sta interrogando da tempo sulle competenze interculturali, cioè su quali capacità di relazione empatica con persone diverse per cultura o ideologia (non necessariamente straniere) si debbano sviluppare nel cittadino delle società complesse.

Un aspetto privilegiato per l’acquisizione di tali competenze sembra essere proprio la formazione linguistica, capace di aprire le visioni personali (necessariamente parziali) alla considerazione di altri punti di vista. Scrive in proposito Cristina Allemann-Ghionda nel suo ultimo libro : “Appare plausibile supporre che chi cresce tra due o più lingue elabori, attraverso il continuo contatto con due o più culture o attraverso il continuo lavoro di traduzione, un atteggiamento relativo e quindi un’identità culturalmente multilaterale, che gli trasmette la capacità di porsi anche da altri punti di vista” (p. 107).

Allemann-Ghionda indica una correlazione non secondaria tra multilinguismo e identità interculturali. Riferendosi all’esempio canadese, osserva “L’educazione inclusiva – nel senso dell’idea di intersezione – si basa su un’ampia comprensione della diversità, che comprende la pluralità delle lingue e culture, che diventano un tema centrale e non marginale. In alcuni paesi dell’Europa occidentale, lo stimolo al multilinguismo viene considerato come strada maestra per una formazione pensata in senso interculturale. Vi è sottesa l’ipotesi che occuparsi attivamente e consapevolmente con più di una lingua rende capaci o per lo meno incoraggia a pensare in maniera flessibile, rappresentandosi possibilità diverse di vedere il mondo e di dargli un nome. In altre parole: lingua/e e cultura/e sono strettamente legate le une alle altre”. (ibid. p. 113-114)
La prospettiva monoculturale infatti, anche se inconsapevolmente, considera come normativa la propria visione del mondo e delle cose, rispetto alla quale visioni diverse sono ritenute una sorta di deviazione. L’educazione linguistica (non da sola) allora può contribuire a formare personalità più aperte e dialogiche, ma per questo ci vogliono politiche educative adeguate, altrimenti, si corre il serio rischio che si affermino radicalismi e intolleranze, che aumentano il già elevato livello di conflittualità sociale.

Questo avremmo voluto chiedere all’on. Rossi Doria. Ma nutriamo la speranza che la riflessione avviata, alimentata da più parti, continui e si sviluppi.  (Mariella Guidotti, CSER /Inform)

Nessun commento:

Posta un commento