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mercoledì 31 luglio 2013

Fedeltà alle radici, alla comunità o ai propri scopi

STAMPA ITALIANA ALL’ESTERO
Su “Tribuna Italiana” di oggi l’editoriale del direttore Marco Basti

Fedeltà alle radici, alla comunità o ai propri scopi

BUENOS AIRES - Il caso del Partito Democratico Italiano a Buenos Aires è il più eclatante, ma non il primo in cui un settore, un partito, un dirigente, di una componente della nostra comunità, antepone i propri pregiudizi personali, la visione della sua ideologia o i propri interessi di parte, a quelli della comunità in seno alla quale opera o in nome della quale dice di parlare.

Pubblichiamo a pagina 10 la notizia del comunicato del PD in Buenos Aires nel quale, tra l’altro, si sostiene che le autorità possono fare quel che vogliono col monumento, anche se sarebbe stato meglio se avessero interpellato prima i dirigenti della collettività spagnola e della collettività italiana (in quell’ordine), perché, sostiene il dirigente (o dirigenti) del Pd di Buenos Aires i primi rappresentano gli eredi dei “conquistadores” e il monumento è un omaggio alla “conquista” e i secondi rappresentano gli eredi di coloro che hanno donato il monumento.

Ad ogni modo la vicenda del monumento a Cristoforo Colombo ha avuto il merito di risvegliare una comunità per troppo tempo addormentata, la quale, oltre a prendere posizione sulla storia del monumento, comincia a interrogarsi sul perché dell’attuale situazione, su perché oggi ci troviamo a discutere se Colombo era italiano, se il suo monumento, donato dai nostri nonni o bisnonni può essere portato via per lasciar posto a un altra statua ancora non fatta, se la presenza italiana in questo Paese non solo non è più nota, ma comincia ad essere messa in discussione.

Tra gli interventi al dibattito proposto dalla Tribuna Italiana a partire dall’articolo di Dante Ruscica (pubblicato nell’edizione dello scorso 3 luglio), quello di Arturo Curátola è stato centrato sul tema della cittadinanza italiana, e Curátola ha affermato che non bisogna dare la cittadinanza a chi in qualche modo non si impegna, non esprime nei suoi comportamenti, nei suoi atteggiamenti in casi come quello che viviamo oggi con il monumento a Colombo, di apprezzare di essere cittadino italiano, di sentire il necessario legame, l’appartenenza alla comunità di origine italiana.

Anche l’ambasciatore Roberto Nigido ha fatto riferimento allo stesso tema. “Io vorrei ricordare però - scrive l’ex ambasciatore italiano a Buenos Aires - anche che l’ Italia continua a mantenere una rete consolare all’ estero esorbitatamente estesa e che non ha più rapporto né coi reali bisogni degli italiani all’ estero, né con le risorse finanziarie del nostro Paese oggi. E soprattutto che l’Italia ha attribuito da sempre la cittadinanza e più recentemente anche il voto agli italiani all’estero, con una generosità che ha pochi paragoni nel mondo, e ha loro dato una voce nel Parlamento italiano (diciotto parlamentari ) quale rappresentanza democratica dei loro interessi e aspettative rispetto all’Italia.”

Su questo tema si esprime anche Walter Ciccione nel suo articolo, che pubblichiamo qui a fianco. Anche lui sostiene, giustamente, che la cittadinanza esprime un legame con la storia, con la cultura, con la gente e che non può essere ridotta a semplice tessera per viaggiare.

Cittadinanze - e passaporti - facili sono una faccia della medaglia della nostra crisi. L’altra è costituita da coloro che, non avendo i legami di cui parlavamo sopra, non sentendosi parte di una comunità di affetti, di valori, di storia, non sentono nemmeno la responsabilità di esprimersi come parte di tale comunità, pur occupando posizioni nelle sue strutture.

Non si tratta di un dibattito facile e non si tratta di una situazione alla quale si sia arrivati da un giorno all’altro. Purtroppo è passato troppo tempo da quando il dibattito sulla doppia cittadinanza era all’ordine del giorno, ma bisogna ricordare che la legge sulla cittadinanza ha avuto un valore “compensatorio”, come è stato per gran parte della politica per gli italiani all’estero. “Compensati”, dalle dimenticanze di tanti decenni, la legge venuta fuori è stata molto generosa, come ricorda l’ambasciatore Nigido.

Generosa perché doveva servire anche ad aiutare figli e nipoti a raggiungere la salvezza nella terra dei propri avi, negli anni bui della dittatura, o negli anni delle grandi crisi.

Il dibattito sul futuro della comunità di origine italiana in Argentina richiede in primo luogo una profonda riflessione della nostra comunità.

Il dibattito è necessario, è stato lanciato, ci vogliono persone e istituzioni che si sentano impegnate a partecipare. Che sentano la propria italianità. (Marco Basti /Tribuna Italiana /Inform) marcobasti@tribunaitaliana.com.ar

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