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lunedì 8 luglio 2013

Lapo Pistelli: L’Italia e il golpe dolce. «Morsi deve collaborare»

RASSEGNA STAMPA
Su “Il Giorno”, “Il Resto del Carlino”, “La Nazione” di oggi, intervista del vice ministro degli Esteri

Lapo Pistelli: L’Italia e il golpe dolce. «Morsi deve collaborare»

ROMA - Insomma, ci siamo infervorati troppo presto per le primavere arabe?

«Sì. Serve lucidità per accompagnare una transizione. Invece, prima abbiamo applaudito le piazze rivoluzionarie, poi i Fratelli musulmani che hanno vinto le elezioni, ora esultiamo per quelli che li hanno destituiti con un golpe. Popolare, salutato da fuochi d’artificio, ma comunque un colpo militare», dice Lapo Pistelli, vice ministro degli Esteri con delega per l’Africa. E aggiunge: «Gli uni avevano la legittimazione rivoluzionaria, gli altri quella elettorale, l’esercito quella storica di chi comanda da cinquant’anni. Oggi più che fare il tifo per l’uno o per altro, abbiamo il compito di aiutarli a riconciliarsi».

In che modo?

«Ai generali diciamo di rilasciare i leader arrestati. Perché sia riconciliazione tutti devono far parte del gioco democratico. Chi è al governo deve tendere una mano a chi è stato estromesso. Questi ultimi devono comprendere il proprio fallimento e collaborare, non chiamare in piazza i simpatizzanti. Altrimenti, c’è il rischio che si arrivi a un punto di non ritorno».

La rabbia potrebbe riversarsi anche nei Paesi vicini?

«Ci sono già segnali di nervosismo tra i partiti legati ai Fratelli musulmani, come Ennahda al governo in Tunisia. É inevitabile che tutti guardino all’Egitto, peso massimo del mondo arabo».

Tanta instabilità può colpire la polveriera mediorentale? Nella penisola del Sinai da due anni circolano volantini firmati da Al Qaeda in cui si chiede l’imposizione della sharia e la fine del trattato di pace Egitto-Israele.

«Non c’è niente che non sapessimo già. L’Egitto è il bastione della sicurezza occidentale ai confini con Israele. Lo sanno anche i sassi. Pure l’ex presidente Morsi sapeva di dover tenere quella frontiera sicura».

C’è chi pensa che la crisi egiziana possa far ripartire l’immigrazione dal Nord Africa.

«É un problema che non esiste né è mai esistito. Di egiziani in Italia ce ne sono tantissimi ed è un’immigrazione storica, figlia dei flussi e non dei barconi. Si tratta di persone integratissime, gente che lavora e sta bene. Guardiamo altrove, semmai: sono tornato una settimana fa dal Libano, un Paese con 4 milioni e mezzo di abitanti che da un anno sta sostenendo - anche con il nostro aiuto - un milione e 200mila rifugiati, tra siriani e palestinesi. Nessuno lì ha protestato: in Italia siamo andati in tilt un anno e mezzo fa quando sbarcarono 35mila tunisini. Uno dovrebbe mettersi la mano sul cuore e capire come va il mondo».

A proposito di mano sul cuore: Papa Francesco ha scelto Lampedusa per il primo viaggio fuori le mura Vaticane.

«Un bellissimo gesto di speranza. Va lì dove c’è umanità che soffre, che scappa cercando un riscatto altrove. Scelgono il nostro Paese anche perché è una porta fra due continenti: una porta, però, non principale ma di servizio. Da cui spesso si passa piegati e umiliati. In questo mondo si muove tutto, informazioni, merci, capitali. Volete tenere ferme le persone? Anche da qui passa il coraggio e la coesione dell’Europa». (Antonella Coppari - Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione dell8 luglio 2013)

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