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giovedì 25 luglio 2013

Le catechesi dei vescovi ai giovani italiani

GMG
Le catechesi dei vescovi ai giovani italiani

RIO DE JANIERO - È stata la speranza il filo conduttore della prima catechesi dei vescovi ai giovani italiani. “Siamo vagabondi o pellegrini?”, ha chiesto il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana e arcivescovo di Genova, ponendo “il problema dei problemi”: “La vita vale la pena di essere vissuta?”. “Se abbiamo il coraggio di non esser superficiali e distratti” capiamo di essere “creature di confine” e “la nostra incompiutezza, come una melodia o un grande affresco, racchiude una grazia”. Essa, ha aggiunto, “esprime ciò che siamo: desiderio, anelito, tensione, una freccia puntata verso il cielo, l’alto, la nostra origine e la nostra meta”. Di qui l’invito: “Lasciamo parlare il cuore! Ascoltiamolo specialmente nei momenti difficili!”.

“La speranza è una virtù difficile e, senza la grazia, impossibile”, ha ricordato l’arcivescovo di Firenze, card. Giuseppe Betori. Per il porporato “abbiamo bisogno di recuperare il vero volto della speranza, come ciò che dal futuro illumina il presente e, ponendosi come un traguardo, chiarisce il cammino”. Desiderio del futuro e paura convivono nel cuore dei giovani secondo mons. Mariano Crociata, segretario generale della Cei. Sono “l’incomprimibile dinamismo dell’apertura illimitata alla vita e la realistica, se non amara, constatazione della chiusura di tante prospettive”. Eppure “la speranza, anche umanamente, è il segno rivelatore di una promessa contenuta nella struttura della persona e nel senso della sua esistenza”. La fede cristiana, poi, annuncia e fonda “una speranza che svela la verità della speranza umana, perché le offre un contenuto e un orizzonte che ne capovolge l’inesorabile condanna alla frustrazione e al fallimento”.

Per mons. Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, “camminare nella luce della fede e sulle ali della speranza – ha sottolineato il presule – ci pone in sintonia con la ricerca fondamentale dell’uomo di oggi: infatti, in un mondo spesso molto secolarizzato, tanti manifestano una nuova apertura spirituale, un senso di Dio e dell’Assoluto”. “Accogliere la sfida della speranza – gli ha fatto eco l’arcivescovo di Chieti-Vasto, mons. Bruno Forte – vuol dire volersi veramente umani, sanando le ferite dell’anima”. In realtà, è “l’orientare il cuore e la vita a una meta alta, che valga la pena di essere raggiunta, e che tuttavia appare raggiungibile solo a prezzo di uno sforzo serio, perseverante, onesto, capace di sostenere la fatica di un lungo cammino”. Secondo mons. Mario Delpini, vescovo ausiliare di Milano, “ci si può prendere cura della gioia degli altri perché Dio stesso si mette dalla parte di coloro che credono che è meglio dare la vita piuttosto che trattenerla, Dio stesso si mette dalla parte di coloro che mettono a frutto i loro talenti perché producano un bene per tutti, Dio stesso si mette dalla parte di coloro che affrontano con fierezza ogni compito che è servire, ogni situazione che richiede l’assunzione di responsabilità, ogni momento in cui il bisogno dell’altro mi scomoda, mi chiama, mi convince a uscire di casa e mi conduce fino alla scoperta di incontrare il Dio della gioia proprio là dove ho fatto qualche cosa per seminare un po’ di gioia”.

La speranza cristiana “mantiene vigili di fronte a false speranze, coraggiosi e perseveranti in situazioni di mancanza di speranza, impegnati nel vivere e testimoniare con la vita e la parola la speranza cristiana che non delude”, ha rimarcato monsignor Domenico Sigalini, vescovo di Palestrina e assistente ecclesiastico generale dell’Azione Cattolica italiana, Essa, ha aggiunto mons. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, “nasce dalla libertà. Dobbiamo prendere coscienza che non è facile vivere nel nostro mondo, ma ognuno di noi può fare la differenza se inizia a scegliere, pensare, valutare, agire in modo diverso. Questa diversità che tutti conoscono, di cui in tanti parlano è quella del Vangelo e di Gesù Cristo. È una diversità possibile, praticabile, a misura d’uomo”. “Giovani e speranza sono un binomio inscindibile, per questo Papa Francesco mette in guardia a non lasciarci portar via la speranza: è farci portar via la nostra stessa vita”, ha evidenziato mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma, osservando che “la speranza è realtà genetica nella persona umana: quando nasce una vita, come succede ancora nei nostri Paesi o come avviene in guerra, dov’è c’è morte e il vagito di un bambino...; quando si guarda avanti perché si hanno mete da conquistare, perché si sa che non è finito lì il nostro cammino: in dissolvenza la speranza tracima nell’ideale, nella vocazione...”.

Per mons. Arrigo Miglio, arcivescovo di Cagliari, “sete di Dio è sete di speranza, è sete di vita, di futuro. Sete di Dio è sete di amore, sete di verità, sete di amici e di relazioni vere...”. Infine mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, per il quale “la GMG può essere per i giovani un sicomoro che aiuta ad uscire da un certo modo di vivere la fede e a recuperare la dimensione dell’incontro personale”. (F.R.-Migrantes online /Inform)

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