Per il reindirizzamento cliccate link to example

venerdì 26 luglio 2013

Bozza di intervento del Vice Ministro Archi per l’audizione del Comitato per le questioni degli italiani all’estero

DOCUMENTAZIONE
Bozza di intervento del Vice Ministro Archi per l’audizione del Comitato per le questioni degli italiani all’estero

Senato della Repubblica, 10 luglio 2013

Sono grato al Comitato per questa audizione: la Ministro Bonino mi ha affidato la delega alle questioni concernenti gli Italiani nel mondo, materia che sono particolarmente felice di poter seguire, nella convinzione che le nostre collettività all’estero costituiscano al tempo stesso una risorsa per il sistema-Paese ed una realtà verso le cui esigenze la Nazione ha dei precisi obblighi. Tra questi, in primo luogo, quello di rispondere alle domande di servizi e di strumenti idonei a mantenere e trasmettere alle generazioni successive il vincolo culturale e linguistico con l’Italia, nel rispetto della doverosa integrazione nelle società dei Paesi ospiti.
Mi accosto alla materia con la doverosa umiltà del neofita, pur temperata dall’appartenenza ad una Carriera che ha nei confronti dell’italianità all’estero una conoscenza storica ed una tradizione di servizio, nelle quali mi riconosco pienamente.
Da diplomatico, ancor prima che nella mia attuale carica, conosco quindi i caratteri storici e tradizionali dell’emigrazione italiana, nelle sue varie ondate.
A questo proposito, vorrei portare alla vostra attenzione la questione della sopravvivenza del Museo nazionale dell’Emigrazione Italiana, che, come forse saprete, ho visitato lo scorso 4 luglio.
Si tratta di un’iniziativa di grande rilievo per la valorizzazione di un’importante pagina della storia d’Italia, non sempre nota al grande pubblico, che ha riscosso vivissimo apprezzamento, come testimonia il massiccio afflusso di visitatori, tra cui moltissimi gruppi di studenti delle scuole.
Esistenza e funzionamento del Museo, negli ultimi due anni, sono stati assicurati, non senza grandi difficoltà, grazie all’impegno – anche finanziario – della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del nostro Ministero, e alla straordinaria disponibilità continuamente manifestata dal Ministero dei Beni Culturali e dalla società che gestisce l’allestimento.
Auspichiamo quindi fortemente che venga riproposto al nuovo Parlamento un provvedimento normativo per rendere il Museo un’istituzione stabile, dotandolo di adeguati e sicuri mezzi finanziari per garantirne il funzionamento, e vi chiedo sostegno in tal senso.
Sono consapevole, come tutti i miei colleghi che hanno prestato servizio all’estero, che non esiste un’unica collettività italiana. Che gli Italiani in America Latina hanno storie diverse da quelli in Europa. E che anche all’interno del nostro Continente, le collettività italiane in Germania non hanno le stesse esigenze dei nostri connazionali in Spagna.
Divergono forse più le storie che le tradizioni, ma se le tradizioni ci uniscono, le storie ci individuano. Sono fermamente convinto che queste individualità possono essere pienamente comprese solo da chi in loco segue, tutela e assiste le singole collettività, siano essi i nostri consolati, le associazioni, gli organi di rappresentanza, i patronati. A loro occorre in primo luogo rifarsi per comprendere meglio le articolazioni delle nostre collettività, valutarne le esigenze e determinare le possibili linee di azione.
A livello locale, la rete consolare interagisce quotidianamente con le collettività e con gli organi di rappresentanza e assistenza in loco, ma incorre in due principali ordini di difficoltà: da un lato, le risorse in continuo calo, a fronte di oneri in continua crescita. L’interdipendenza, la mobilità dei cittadini, in una parola la “globalizzazione”, fanno sì che virtualmente ogni provvedimento nazionale abbia conseguenze sull’operatività dei nostri uffici all’estero, imponendo loro nuovi compiti. Pur forti della conoscenza del territorio, delle collettività stanziali e delle loro esigenze, anche rendere i più tradizionali servizi consolari diventa ogni giorno più arduo, nonostante l’ottimizzazione delle risorse e il sempre più intensivo uso delle risorse informatiche, per di più ancora poco diffuse nelle collettività più anziane. Dall’altro lato, la cosiddetta “nuova mobilità internazionale” è fenomeno che per definizione esula dai tradizionali strumenti consolari di rilevamento e di assistenza, e nei cui confronti è necessario un approccio innovativo.
Ma la questione è in realtà triplice:
-       nei confronti delle collettività stanziali più tradizionali metodi e strumenti consolari possono essere ancora adeguati, ma non lo sono sempre e ovunque le risorse.
-       Nei confronti delle nuove generazioni, dei figli e dei nipoti di coloro che hanno lasciato l’Italia, si incontra spesso un divario culturale generato dalla più profonda integrazione nei Paesi di accoglienza, che esige quindi un sostegno dello stesso segno, eminentemente culturale, inteso a conciliare integrazione e radici. Ciò, anche nell’ottica di non disperdere risorse preziose per l’intero sistema-Paese.
-       La nuova mobilità internazionale richiede un adeguamento di metodi e strumenti, ancor prima che di risorse. L’intero sistema normativo (a cominciare dalla Legge sull’AIRE) e organizzativo dei servizi consolari rispecchia le esigenze dell’emigrazione italiana, intesa se non più come i “migranti” dei secoli scorsi (coloro che espatriano “esclusivamente a scopo di lavoro manuale o per esercitare il piccolo traffico”), almeno come “collettività residente” - ed in larga misura stanziale. Viceversa, il “nuovo emigrante” è spesso mobile, si avvale di diversi strumenti di aggregazione e di conservazione dei legami culturali, linguistici e politici con l’Italia, e presenta esigenze e dinamiche che difficilmente trovano soddisfazione nei servizi consolari “tradizionali”.
Nel corso dell’Assemblea Plenaria del CGIE appena svoltasi, ho avuto modo di ricevere numerose sollecitazioni, riguardanti in primo luogo le nostre collettività stanziali, nonché rilevare la condivisa sensazione che sia necessario comprendere gli esatti contorni di una “novità” ancora poco nota.
Tra le prime e più sentite sollecitazioni ricevute, figura la questione della rappresentanza: siamo consapevoli dell’enorme sforzo condotto dai componenti dei Comites e del CGIE, eletti nel 2004, per continuare ad esercitare il loro ruolo con grande impegno.
Come sapete, l’ultimo provvedimento di rinvio a entro il 2014 delle elezioni per il rinnovo dei Comites ha anche stabilito che esse avvengano con modalità elettroniche, al fine di ridurne i costi.
È mio impegno far sì che l’iter di approvazione del regolamento per la revisione delle modalità di voto si svolga il più rapidamente possibile. Dopo il concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e il Ministro delegato all’innovazione tecnologica e allo sviluppo della società dell’informazione ed il parere del CGIE, la bozza di DPR sarà sottoposta, come previsto dalla legge 118/2012, alle Commissioni parlamentari competenti per il parere in vista della sua adozione. In attuazione del dettato legislativo, il progetto di regolamento prevede il voto elettronico sia in seggi presso gli Uffici consolari sia, ove possibile, anche in altri locali predisposti dal comitato elettorale, tenuto conto del numero degli elettori, della loro dislocazione e della disponibilità di personale, nonché la possibilità di un voto “da remoto”, da postazioni informatiche personali dell’elettore.
Siamo persuasi della necessità di provvedere al rinnovo degli organismi rappresentativi, anche per consentire ai Comitati, una volta rieletti, di riflettere nella loro composizione le modifiche intervenute nelle articolate realtà degli Italiani all’estero, dove alla componente tradizionale e stanziale, in cui le generazioni si susseguono e si sovrappongono, si affianca quella più recente, caratterizzata da una diversa mobilità.
Sempre in tema di rappresentanza degli italiani all’estero, ho registrato una forte attesa per i possibili sviluppi, in tema di voto all’estero, delle riforme istituzionali e costituzionali avviate. Non vi è dubbio che eventuali riforme del sistema parlamentare non potranno non avere conseguenze anche sul voto degli italiani all’estero, al momento ancora non decifrabili. Dal punto di vista del Ministero degli Affari Esteri, incaricato dell’attuazione delle operazioni di voto all’estero, mi limiterò a esprimere una valutazione circa le modalità del voto, senza ovviamente entrare nel merito del sistema o delle circoscrizioni: il voto per corrispondenza ha mostrato limiti che la rete diplomatico-consolare ha cercato di arginare nella misura del possibile, affinando al meglio le operazioni condotte in loco. Solo per citare un singolo – ma centrale - aspetto del complesso meccanismo, nessuna norma impone che l’elenco degli elettori risultante dai dati AIRE comunali sia oggetto di interventi da parte dei consolati. Nondimeno, questi risultano indispensabili, poiché per una serie di motivi molti degli indirizzi risultano fatalmente non aggiornati. Ma nonostante gli interventi di “bonifica”, gli elenchi non saranno mai totalmente affidabili – né possono esserlo. Non fosse altro per il semplice motivo che non sempre gli stessi connazionali segnalano i loro trasferimenti al consolato. Il vulnus arrecato al voto da tale modalità di invio generalizzato di oltre tre milioni e mezzo di plichi elettorali è difficilmente calcolabile, ma in ogni caso – anche se i numeri fossero contenuti – inaccettabile. Una possibile soluzione sarebbe rappresentata dalla cosiddetta “inversione dell’opzione” – ipotesi più volte ventilata in disegni di legge presentati in Parlamento e sostenuta anche dal CGIE – mantenendo il voto per corrispondenza. L’istituzione di seggi diffusi – pur ottimale dal punto di vista di segretezza, personalità e libertà del voto – oltre ad essere finanziariamente onerosa, presenterebbe problemi di vario tipo: impossibilità di gestire direttamente o controllare l’operato di seggi sparsi su territori anche enormi; difficoltà di reperire idonee risorse umane in loco; necessità di autorizzazioni che molti Stati (Canada, Australia…) negherebbero. D’altra parte, seggi unicamente presso i consolati di prima categoria discriminerebbero quel 75% degli elettori che vivono distanti dall’ufficio consolare. Di converso, la mera “inversione dell’opzione” non presenterebbe tali criticità e si inserirebbe in un meccanismo già rodato, che verrebbe reso più sicuro e meno dispendioso: invio del plico a indirizzo certo, con forme di consegna personalizzate ed in capo a elettori che abbiano manifestato l’interesse a votare.
Anticipando una considerazione che riguarda più la “nuova mobilità”, sottolineo infine che quest’ultima è attualmente esclusa dal voto all’estero, in quanto per definizione non iscritta all’AIRE. L’attuale strumento normativo è “tarato” sui residenti, ossia su un corpo elettorale definito e noto in anticipo, e può essere - con rilevanti difficoltà - esteso ai dipendenti pubblici, di cui sono noti a priori le sedi di servizio e la consistenza, ma non a un corpo elettorale per definizione ignoto. L’ampliamento a tutti coloro che si trovino all’estero per un determinato periodo di tempo, inferiore a quei dodici mesi cui conseguel’iscrizione all’AIRE, necessita di una riforma organica dell’intero impianto normativo, e non una sua mera estensione a categorie di elettori attualmente non previste.
Ulteriore “polo” della rappresentanza, l’associazionismo italiano all’estero presenta opportunità e esigenze. Rappresenta una ricchezza di tradizione e cultura di indubbio valore. Si tratta di un mondo composito che ha mostrato e deve sempre più mostrare la capacità di adeguarsi alle mutazioni sociali, culturali e generazionali delle collettività di riferimento.
Accanto al patrimonio di tradizioni da mantenere, occorre a mio avviso sfruttare le opportunità offerte dalle nuove forme di aggregazione e andare oltre il concetto di associazione quale luogo fisico. Le nuove generazioni – sia le successive generazioni “stanziali”, sia gli “espatriati” più recenti - frequentano più il web che i circoli. Le norme sull’associazionismo sono orientate principalmente a riconoscerne il ruolo nella sistema di rappresentatività (le associazioni sono coinvolte nella formazione dei Comites e del CGIE). Occorre riconoscere che le “associazioni virtuali” svolgono una distinta forma di rappresentanza, di istanze che non rientrano – e forse non vogliono rientrare – in tale sistema, ma che non per questo debbono essere ignorate. In occasione delle ultime consultazioni elettorali hanno fatto sentire in più modi la loro voce, dimostrando una maturità organizzativa non ancora riflessa negli impianti normativi. Anche al di là del momento elettorale dobbiamo prendere atto di un’evoluzione che – pur refrattaria alla costrizione in schemi precostituiti – è portatrice di esigenze concrete.
Bisogna anzitutto individuare la figura del “nuovo emigrante” (o meglio, dell’espatriato) e la portata del fenomeno, al di là dei semplicistici schemi mediatici: i dati dell’ISTAT forniscono un quadro – ampiamente ripreso dagli organi di informazione – incompleto sotto molti aspetti:
temporale: i dati riflettono le uniche registrazioni esistenti, ossia le cancellazioni per l’estero dalle anagrafi della popolazione residente tenute dai comuni, a loro volta conseguenza delle segnalazioni dei consolati. All’inevitabile isteresi burocratica va sommato quindi il ritardo nelle dichiarazioni presentate dagli interessati al consolato di riferimento, tenuto conto anche che la maggiore mobilità delle nuove generazioni e la possibilità di mantenere assidui contatti con l’Italia disincentivano il ricorso agli uffici consolari. D’altra parte, l’attuale normativa dispone che l’iscrizione all’AIRE sia dovuta – e consentita – solo in caso di trasferimento all’estero della residenza per un periodo superiore ai dodici mesi, ossia quando la situazione si “consolida” – perlomeno in termini di prospettiva individuale - e la persona diventa stanziale. Tutto ciò fa sì che da un lato i dati fotografino solo la situazione già cristallizzata, e che dall’altro sfuggano completamente i flussi caratterizzati da maggiore mobilità (i professionisti che vivono sei mesi a Dubai, sei mesi a Hong Kong e così via) e quelli afferenti soluzioni più o meno temporanee, o come tali percepite (non dimentichiamo che il requisito della permanenza annuale si risolve in una previsione operata dalla persona) e si traducono in rientri, magari seguiti da nuove partenze;
sociologico: le anagrafi – e gli schedari consolari - nascono per assolvere a funzionalità amministrative e non di informazione statistica. Né le une né gli altri registrano necessariamente quei dati indispensabili ad un’analisi socio-demografica. Lo stesso dato del titolo di studio non è tra quelli ritenuti fondamentali per i fini anagrafici: quanti laureati segnalano il conseguimento del titolo di studio alla propria anagrafe? Lo stesso dicasi per la condizione professionale, salvo ciò non rilevi per l’iscrizione alle liste di collocamento.
Le esigenze sono inoltre commisurate anche al grado di istruzione ed alla posizione professionale, sicché i dati meramente anagrafici in possesso dei comuni e dei consolati rilevano poco. Nessun dato conferma che i giovani che lasciano l’Italia siano esclusivamente laureati, sebbene ne costituiscano senza dubbio una quota più significativa che in passato. I dati ISTAT indicano che la componente di laureati nei flussi migratori sarebbe passata dall’11,9% degli ultra25enni nel 2002 al 27,6% nel 2011. ISTAT, comuni, associazioni italiane all’estero e gli stessi consolati non sono peraltro fonti esaurienti in tale rispetto, come già evidenziato, e vi è la necessità di identificarne altre, in particolare tra le nuove forme di aggregazione dei giovani espatriati.
Occorre quindi anzitutto affinare i dati in nostro possesso e a tal fine individuare fonti alternative a quelle già disponibili. Per definizione, il giovane che si reca all’estero oggi si avvarrà più di “blog” che di Comites e associazioni; più delle opportunità offerte dall’integrazione europea che dai servizi nazionali (iscrivendosi ad esempio alle anagrafi cittadine – per poter usufruire dei servizi comunali e nazionali – rinviando l’iscrizione all’AIRE ad un momento successivo, quando diventi eventualmente “stanziale”). Occorre ottenere la collaborazione dei gruppi informali di “expats” e delle strutture locali di accoglienza e impiego (comuni esteri, uffici di collocamento, reti di imprese), nonché dedicare all’indagine un’apposita sezione dei siti web istituzionali destinati ai visitatori. L’intento è quello di capire anzitutto le dimensioni e la portata di un fenomeno percepito in contorni e contenuti piuttosto sfocati, per determinare le esigenze di cui possono essere portatori i componenti e valutare come rispondervi in loco e centralmente.
In loco, gli uffici consolari maggiormente interessati dal fenomeno potranno, sulla base delle risultanze dell’indagine, coinvolgere le strutture del sistema-Paese presenti sul territorio (ICE, camere di commercio, banche, Alitalia, Istituti di Cultura) chiedendo di indirizzare le loro attività anche alle esigenze che siano state manifestate. Ove possibile, gli uffici potranno farsi portavoce di eventuali esigenze anche presso le istituzioni locali e concordare forme di collaborazione specifica.
Le cause e le circostanze dell’espatrio sono inoltre più variegate della mera ricerca di un impiego (ne è dimostrazione l’ampia serie di servizi dedicati all’argomento dall’emittente radiofonica de “il Sole 24 ore”, con approfondite interviste ai giovani professionisti emigrati), sicché provvedimenti “eziologici” dovrebbero anche muovere da una migliore conoscenza di tali dati, in modo da “tarare” opportunamente gli eventuali interventi che dovessero rivelarsi opportuni. Interventi relativi al soggiorno all’estero quali – solo a titolo esemplificativo – modifiche della legge sull’AIRE, delle norme sulla rappresentanza e rappresentatività degli italiani all’estero (compresa e non ultima la legge sul voto all’estero, attualmente limitata ai soli iscritti AIRE), delle operazioni di ricostruzione delle contribuzioni previdenziali e così via.
Di tali dinamiche dobbiamo cercare di formarci un quadro aggiornato, per arrivare a modulare servizi, assistenza e tutela. Un quadro che servirà altresì per formulare quelle ipotesi di adattamento delle strutture che potranno rendersi necessarie a seguito delle riforme istituzionali attualmente in discussione, anche al fine di valorizzare pienamente l’apporto e le potenzialità di tutte le componenti delle collettività italiane all’estero, anche in chiave di promozione del sistema-paese.
La diffusione della lingua italiana continua a rappresentare una priorità per il Ministero degli Esteri, in quanto lingua di cultura ma anche strumento di promozione di un’immagine completa e dinamica dell’Italia odierna, avvalendosi anche a tal fine delle nostre comunità all’estero, quali potenziali “moltiplicatori culturali” del Sistema Italia. Per promuovere tale visione, il Ministero degli Esteri ha ospitato il 6 dicembre scorso, congiuntamente a MIUR, CGIE e Regioni, un seminario sulla diffusione e sull’insegnamento della lingua e cultura italiana all’estero, con l’obiettivo di valutare le possibili linee di riforma della normativa in materia ed assicurare un miglior coordinamento tra gli attori coinvolti, attraverso lo scambio costante di informazioni e la condivisione delle iniziative. Al seminario hanno partecipato, tra gli altri, l’Accademia della Crusca, le Università per Stranieri di Siena, Venezia e Perugia, la Società Dante Alighieri, Assocamerestero, Goethe Institut e Istituto Cervantes. Grazie ai numerosi spunti emersi è stato prodotto un documento congiunto, che verrà inviato a cura del CGIE al Parlamento con l’obiettivo di fornire alcune linee-guida per una riforma complessiva della materia.
In relazione alle iniziative di promozione della lingua e della cultura italiana a specifico vantaggio delle nostre collettività, in particolare per le generazioni più giovani, va evidenziato come lo stanziamento previsto per l’anno corrente sul capitolo 3153 (contributi agli enti gestori di corsi di lingua e cultura italiana per le collettività italiane all’estero), pari a 10,1 Milioni di euro, sia stato assegnato ed erogato in tempi molto rapidi, tenuto conto dell’obbligo di pubblicità degli atti di spesa imposto dalla recente normativa. Ciò, riteniamo, ha permesso agli enti gestori di programmare le rispettive attività meglio che nel passato.
Resta tuttavia l’esigenza di proseguire lo sforzo di razionalizzazione delle iniziative, già intrapreso negli anni scorsi, indipendentemente dalla progressiva contrazione delle risorse sul pertinente capitolo di bilancio. A tal fine, la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche Migratorie del MAE ha avviato un esercizio di revisione della circolare 13 del 2003, che come noto regola l’attribuzione dei contributi agli enti gestori, in stretto coordinamento con la rete diplomatico-consolare.
Sempre in tale ottica, la DGIT ha fatto presente alla rete l’esigenza di razionalizzare, in una programmazione di medio periodo, il numero degli enti gestori, tranne laddove specifiche ed obiettive esigenze richiedano la presenza di più Enti in una stessa circoscrizione consolare. Ciò allo scopo di concentrare le risorse a favore degli Enti che, per la loro comprovata esperienza, struttura ed efficienza (in particolare in termini di capacità di reperire risorse proprie), possono impiegarle al meglio. Si dovrà inoltre, ove possibile, favorire processi di accorpamento e fusione tra Enti gestori minori (come già opportunamente fatto da alcune Sedi – tra cui l’Ambasciata a Washington - nelle rispettive circoscrizioni consolari). Al proposito, si osserva che la concentrazione delle risorse a favore di Enti più strutturati e virtuosi consente di diminuire l’impatto delle spese fisse grazie ad economie di scala; permette una programmazione didattica di più ampio respiro; può diminuire l’incidenza percentuale del contributo ministeriale rispetto alle risorse proprie (come richiesto dalla circolare 13/2003); favorisce, infine, lo “spillover” di conoscenze, attraverso la condivisione di un maggior numero di diverse esperienze didattiche.
Vale infine la pena osservare che, in raccordo con MIUR e MEF, la Farnesina sta seguendo con particolare attenzione la situazione del contingente scolastico all’estero. Il Decreto Legge n. 95 del 6 luglio 2012 (c.d. “spending review”) impone infatti, come noto, una riduzione del contingente del personale scolastico da destinare all'estero, il cui limite massimo, da raggiungere progressivamente, è fissato in 624 unità complessive (dalle 1.024 preesistenti) entro il 2017. Già nell’anno scolastico 2012/13 si è passati a 890 unità, con un taglio di 134 docenti. Il contingente diminuirà di ulteriori 60 unità, circa, ad agosto, per effetto dei tagli automatici dovuti alle scadenze di mandato. Tale contrazione sta determinando significativi pregiudizi alla tenuta ed al monitoraggio delle iniziative scolastiche, in considerazione, in particolare, della progressiva riduzione del numero dei dirigenti scolastici in servizio all’estero. Si sta lavorando con i Dicasteri sopra menzionati per cercare di introdurre un emendamento alla “spending review”, che consenta nuovamente, per alcuni posti prioritari ai fini della nostra politica scolastica, l’invio di personale docente e dirigenziale all’estero.
In conclusione di questo intervento, desidero ricollegarmi idealmente al suo incipit, quando ho fatto riferimento agli Italiani all’estero come insostituibile risorsa per il Paese. Come sapete, il Governo Letta ha un mandato ben preciso, e priorità delle priorità dopo anni di grave crisi è quella di far ripartire la crescita, di dare rinnovato impulso alle imprese e di creare lavoro per chi non ne ha, in particolare per i tantissimi giovani che non vedono sbocchi ai loro studi ed alle legittime aspirazioni professionali. Per un Paese come l’Italia largamente privo di materie prime e quindi “condannato” a guardare all’esterno per la propria mera sopravvivenza economica, l’unica possibilità è quella di “fare sistema” per consentire al nostro apparato produttivo (e penso soprattutto alle piccole e medie imprese, che ne costituiscono l’ossatura portante) di essere competitivo nei mercati, per consentire ai nostri prodotti – alle eccellenze del Made in Italy – di essere sempre più richiesti dai consumatori nei quattro angoli del globo. Fare sistema a 360 gradi, quindi, e farlo bene non è facile. Ebbene, come chiaramente evidenziato dalla Ministro Bonino nel corso della sua audizione programmatica di fronte alle Commissioni Esteri congiunte il 15 maggio scorso, gli Italiani nel mondo devono essere una parte essenziale di tale sistema, gli alfieri della nostra Terra, della nostra inventiva, della nostra Cultura, che non hanno rivali al mondo. Devono esserlo le comunità della “vecchia emigrazione”, radicate da oltre un secolo nel tessuto socio-economico europeo, nordamericano e latinoamericano, che testimoniano quotidianamente l’orgoglio di essere Italiani e la nostra “capacità di farcela”, che è esattamente quello che ci serve oggi. Possono esserlo i “nuovi espatriati” degli ultimi 20 o 30 anni, professionisti, scienziati, imprenditori, artisti, ricercatori, talenti ed eccellenze di un’Italia del XXI secolo che deve essere in grado di vendere con successo il proprio marchio se vuole ripartire. La Ministro Bonino ha parlato della necessità di creare vere e proprie sinergie con la risorsa Italiani nel mondo, ed io chiedo aiuto a voi, onorevoli colleghi, per identificare e declinare azioni concrete in questa direzione, proposte che ci consentano di valorizzare al massimo questa risorsa per il bene del nostro amato Paese.

Inform

Nessun commento:

Posta un commento