DOCUMENTAZIONE
Bozza di intervento del Vice Ministro
Archi per l’audizione del Comitato per le questioni degli italiani all’estero
Senato della Repubblica,
10 luglio 2013
Sono grato al Comitato per questa audizione: la Ministro Bonino mi
ha affidato la delega alle questioni concernenti gli Italiani nel mondo,
materia che sono particolarmente felice di poter seguire, nella convinzione che
le nostre collettività all’estero costituiscano al tempo stesso una risorsa per
il sistema-Paese ed una realtà verso le cui esigenze la Nazione ha dei precisi
obblighi. Tra questi, in primo luogo, quello di rispondere alle domande di
servizi e di strumenti idonei a mantenere e trasmettere alle generazioni
successive il vincolo culturale e linguistico con l’Italia, nel rispetto della
doverosa integrazione nelle società dei Paesi ospiti.
Mi accosto alla materia con la doverosa umiltà del neofita, pur temperata
dall’appartenenza ad una Carriera che ha nei confronti dell’italianità
all’estero una conoscenza storica ed una tradizione di servizio, nelle quali mi
riconosco pienamente.
Da diplomatico, ancor prima che nella mia attuale carica, conosco quindi i
caratteri storici e tradizionali dell’emigrazione italiana, nelle sue varie
ondate.
A questo proposito, vorrei portare alla vostra attenzione la questione
della sopravvivenza del Museo nazionale dell’Emigrazione Italiana,
che, come forse saprete, ho visitato lo scorso 4 luglio.
Si tratta di un’iniziativa di grande rilievo per la valorizzazione di un’importante
pagina della storia d’Italia, non sempre nota al grande pubblico, che ha
riscosso vivissimo apprezzamento, come testimonia il massiccio afflusso di
visitatori, tra cui moltissimi gruppi di studenti delle scuole.
Esistenza e funzionamento del Museo, negli ultimi due anni, sono stati
assicurati, non senza grandi difficoltà, grazie all’impegno – anche finanziario
– della Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche
Migratorie del nostro Ministero, e alla straordinaria disponibilità
continuamente manifestata dal Ministero dei Beni Culturali e dalla società che
gestisce l’allestimento.
Auspichiamo quindi fortemente che venga riproposto al nuovo
Parlamento un provvedimento normativo per rendere il Museo un’istituzione
stabile, dotandolo di adeguati e sicuri mezzi finanziari per garantirne il
funzionamento, e vi chiedo sostegno in tal senso.
Sono consapevole, come tutti i miei colleghi che hanno prestato servizio
all’estero, che non esiste un’unica collettività italiana. Che gli Italiani in
America Latina hanno storie diverse da quelli in Europa. E che anche
all’interno del nostro Continente, le collettività italiane in Germania non
hanno le stesse esigenze dei nostri connazionali in Spagna.
Divergono forse più le storie che le tradizioni, ma se le tradizioni ci
uniscono, le storie ci individuano. Sono fermamente convinto che queste
individualità possono essere pienamente comprese solo da chi in loco segue,
tutela e assiste le singole collettività, siano essi i nostri consolati, le associazioni,
gli organi di rappresentanza, i patronati. A loro occorre in primo luogo
rifarsi per comprendere meglio le articolazioni delle nostre collettività,
valutarne le esigenze e determinare le possibili linee di azione.
A livello locale, la rete consolare interagisce quotidianamente con le
collettività e con gli organi di rappresentanza e assistenza in loco, ma
incorre in due principali ordini di difficoltà: da un lato, le risorse in
continuo calo, a fronte di oneri in continua crescita. L’interdipendenza, la
mobilità dei cittadini, in una parola la “globalizzazione”, fanno sì che
virtualmente ogni provvedimento nazionale abbia conseguenze sull’operatività
dei nostri uffici all’estero, imponendo loro nuovi compiti. Pur forti della
conoscenza del territorio, delle collettività stanziali e delle loro esigenze,
anche rendere i più tradizionali servizi consolari diventa ogni giorno più
arduo, nonostante l’ottimizzazione delle risorse e il sempre più intensivo uso
delle risorse informatiche, per di più ancora poco diffuse nelle collettività
più anziane. Dall’altro lato, la cosiddetta “nuova mobilità internazionale” è
fenomeno che per definizione esula dai tradizionali strumenti consolari di
rilevamento e di assistenza, e nei cui confronti è necessario un approccio
innovativo.
Ma la questione è in realtà triplice:
- nei
confronti delle collettività stanziali più tradizionali metodi
e strumenti consolari possono essere ancora adeguati, ma non lo sono sempre e
ovunque le risorse.
- Nei
confronti delle nuove generazioni, dei figli e dei nipoti di coloro
che hanno lasciato l’Italia, si incontra spesso un divario culturale generato
dalla più profonda integrazione nei Paesi di accoglienza, che esige quindi un
sostegno dello stesso segno, eminentemente culturale, inteso a conciliare
integrazione e radici. Ciò, anche nell’ottica di non disperdere risorse
preziose per l’intero sistema-Paese.
- La nuova
mobilità internazionale richiede un adeguamento di metodi e strumenti,
ancor prima che di risorse. L’intero sistema normativo (a cominciare dalla
Legge sull’AIRE) e organizzativo dei servizi consolari rispecchia le esigenze
dell’emigrazione italiana, intesa se non più come i “migranti” dei secoli
scorsi (coloro che espatriano “esclusivamente a scopo di lavoro manuale o per
esercitare il piccolo traffico”), almeno come “collettività residente” - ed in
larga misura stanziale. Viceversa, il “nuovo emigrante” è spesso mobile, si avvale
di diversi strumenti di aggregazione e di conservazione dei legami culturali,
linguistici e politici con l’Italia, e presenta esigenze e dinamiche che
difficilmente trovano soddisfazione nei servizi consolari “tradizionali”.
Nel corso dell’Assemblea Plenaria del CGIE appena svoltasi, ho
avuto modo di ricevere numerose sollecitazioni, riguardanti in primo luogo le
nostre collettività stanziali, nonché rilevare la condivisa sensazione che sia
necessario comprendere gli esatti contorni di una “novità” ancora poco nota.
Tra le prime e più sentite sollecitazioni ricevute, figura la questione
della rappresentanza: siamo consapevoli dell’enorme sforzo condotto dai
componenti dei Comites e del CGIE, eletti nel 2004, per continuare ad
esercitare il loro ruolo con grande impegno.
Come sapete, l’ultimo provvedimento di rinvio a entro il 2014 delle
elezioni per il rinnovo dei Comites ha anche stabilito che esse
avvengano con modalità elettroniche, al fine di ridurne i costi.
È mio impegno far sì che l’iter di approvazione del regolamento per
la revisione delle modalità di voto si svolga il più rapidamente
possibile. Dopo il concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze e il
Ministro delegato all’innovazione tecnologica e allo sviluppo della società
dell’informazione ed il parere del CGIE, la bozza di DPR sarà sottoposta, come
previsto dalla legge 118/2012, alle Commissioni parlamentari competenti
per il parere in vista della sua adozione. In attuazione del dettato
legislativo, il progetto di regolamento prevede il voto elettronico sia in
seggi presso gli Uffici consolari sia, ove possibile, anche in altri locali
predisposti dal comitato elettorale, tenuto conto del numero degli elettori,
della loro dislocazione e della disponibilità di personale, nonché la
possibilità di un voto “da remoto”, da postazioni informatiche
personali dell’elettore.
Siamo persuasi della necessità di provvedere al rinnovo degli organismi
rappresentativi, anche per consentire ai Comitati, una volta rieletti, di riflettere nella
loro composizione le modifiche intervenute nelle articolate realtà degli
Italiani all’estero, dove alla componente tradizionale e stanziale, in cui le
generazioni si susseguono e si sovrappongono, si affianca quella più recente,
caratterizzata da una diversa mobilità.
Sempre in tema di rappresentanza degli italiani all’estero, ho registrato
una forte attesa per i possibili sviluppi, in tema di voto all’estero,
delle riforme istituzionali e costituzionali avviate. Non vi è dubbio che eventuali
riforme del sistema parlamentare non potranno non avere conseguenze anche sul
voto degli italiani all’estero, al momento ancora non decifrabili. Dal
punto di vista del Ministero degli Affari Esteri, incaricato dell’attuazione
delle operazioni di voto all’estero, mi limiterò a esprimere una valutazione
circa le modalità del voto, senza ovviamente entrare nel merito del sistema o
delle circoscrizioni: il voto per corrispondenza ha mostrato limiti che la rete
diplomatico-consolare ha cercato di arginare nella misura del possibile,
affinando al meglio le operazioni condotte in loco. Solo per citare un singolo
– ma centrale - aspetto del complesso meccanismo, nessuna norma impone che
l’elenco degli elettori risultante dai dati AIRE comunali sia oggetto di
interventi da parte dei consolati. Nondimeno, questi risultano indispensabili,
poiché per una serie di motivi molti degli indirizzi risultano fatalmente non
aggiornati. Ma nonostante gli interventi di “bonifica”, gli elenchi non saranno
mai totalmente affidabili – né possono esserlo. Non fosse altro per il semplice
motivo che non sempre gli stessi connazionali segnalano i loro trasferimenti al
consolato. Il vulnus arrecato al voto da tale modalità di invio generalizzato
di oltre tre milioni e mezzo di plichi elettorali è difficilmente calcolabile,
ma in ogni caso – anche se i numeri fossero contenuti – inaccettabile. Una
possibile soluzione sarebbe rappresentata dalla cosiddetta “inversione
dell’opzione” – ipotesi più volte ventilata in disegni di legge presentati in
Parlamento e sostenuta anche dal CGIE – mantenendo il voto per corrispondenza.
L’istituzione di seggi diffusi – pur ottimale dal punto di vista di segretezza,
personalità e libertà del voto – oltre ad essere finanziariamente onerosa,
presenterebbe problemi di vario tipo: impossibilità di gestire direttamente o
controllare l’operato di seggi sparsi su territori anche enormi; difficoltà di
reperire idonee risorse umane in loco; necessità di autorizzazioni che molti
Stati (Canada, Australia…) negherebbero. D’altra parte, seggi unicamente presso
i consolati di prima categoria discriminerebbero quel 75% degli elettori che
vivono distanti dall’ufficio consolare. Di converso, la mera “inversione
dell’opzione” non presenterebbe tali criticità e si inserirebbe in un
meccanismo già rodato, che verrebbe reso più sicuro e meno dispendioso: invio
del plico a indirizzo certo, con forme di consegna personalizzate ed in capo a
elettori che abbiano manifestato l’interesse a votare.
Anticipando una considerazione che riguarda più la “nuova mobilità”,
sottolineo infine che quest’ultima è attualmente esclusa dal voto
all’estero, in quanto per definizione non iscritta all’AIRE. L’attuale
strumento normativo è “tarato” sui residenti, ossia su un corpo elettorale
definito e noto in anticipo, e può essere - con rilevanti difficoltà - esteso
ai dipendenti pubblici, di cui sono noti a priori le sedi di servizio e la
consistenza, ma non a un corpo elettorale per definizione ignoto. L’ampliamento
a tutti coloro che si trovino all’estero per un determinato periodo di tempo, inferiore
a quei dodici mesi cui conseguel’iscrizione all’AIRE, necessita di una riforma
organica dell’intero impianto normativo, e non una sua mera estensione a
categorie di elettori attualmente non previste.
Ulteriore “polo” della rappresentanza, l’associazionismo italiano
all’estero presenta opportunità e esigenze. Rappresenta una ricchezza
di tradizione e cultura di indubbio valore. Si tratta di un mondo composito che
ha mostrato e deve sempre più mostrare la capacità di adeguarsi alle mutazioni
sociali, culturali e generazionali delle collettività di riferimento.
Accanto al patrimonio di tradizioni da mantenere, occorre a mio avviso
sfruttare le opportunità offerte dalle nuove forme di aggregazione e andare
oltre il concetto di associazione quale luogo fisico. Le nuove generazioni –
sia le successive generazioni “stanziali”, sia gli “espatriati” più recenti -
frequentano più il web che i circoli. Le norme sull’associazionismo sono
orientate principalmente a riconoscerne il ruolo nella sistema di rappresentatività
(le associazioni sono coinvolte nella formazione dei Comites e del CGIE).
Occorre riconoscere che le “associazioni virtuali” svolgono una distinta forma
di rappresentanza, di istanze che non rientrano – e forse non vogliono
rientrare – in tale sistema, ma che non per questo debbono essere ignorate. In
occasione delle ultime consultazioni elettorali hanno fatto sentire in più modi
la loro voce, dimostrando una maturità organizzativa non ancora riflessa negli
impianti normativi. Anche al di là del momento elettorale dobbiamo prendere
atto di un’evoluzione che – pur refrattaria alla costrizione in schemi
precostituiti – è portatrice di esigenze concrete.
Bisogna anzitutto individuare la figura del “nuovo emigrante” (o
meglio, dell’espatriato) e la portata del fenomeno, al di là dei semplicistici
schemi mediatici: i dati dell’ISTAT forniscono un quadro –
ampiamente ripreso dagli organi di informazione – incompleto sotto
molti aspetti:
temporale: i dati riflettono le uniche registrazioni esistenti, ossia le
cancellazioni per l’estero dalle anagrafi della popolazione residente tenute
dai comuni, a loro volta conseguenza delle segnalazioni dei consolati.
All’inevitabile isteresi burocratica va sommato quindi il ritardo nelle
dichiarazioni presentate dagli interessati al consolato di riferimento, tenuto
conto anche che la maggiore mobilità delle nuove generazioni e la possibilità
di mantenere assidui contatti con l’Italia disincentivano il ricorso agli
uffici consolari. D’altra parte, l’attuale normativa dispone che l’iscrizione
all’AIRE sia dovuta – e consentita – solo in caso di trasferimento all’estero
della residenza per un periodo superiore ai dodici mesi, ossia quando la
situazione si “consolida” – perlomeno in termini di prospettiva individuale - e
la persona diventa stanziale. Tutto ciò fa sì che da un lato i dati fotografino
solo la situazione già cristallizzata, e che dall’altro sfuggano completamente
i flussi caratterizzati da maggiore mobilità (i professionisti che vivono sei
mesi a Dubai, sei mesi a Hong Kong e così via) e quelli afferenti soluzioni più
o meno temporanee, o come tali percepite (non dimentichiamo che il requisito
della permanenza annuale si risolve in una previsione operata dalla persona) e
si traducono in rientri, magari seguiti da nuove partenze;
sociologico: le anagrafi – e gli schedari consolari - nascono per assolvere a
funzionalità amministrative e non di informazione statistica. Né le une né gli
altri registrano necessariamente quei dati indispensabili ad un’analisi
socio-demografica. Lo stesso dato del titolo di studio non è tra quelli
ritenuti fondamentali per i fini anagrafici: quanti laureati segnalano il
conseguimento del titolo di studio alla propria anagrafe? Lo stesso dicasi per
la condizione professionale, salvo ciò non rilevi per l’iscrizione alle liste
di collocamento.
Le esigenze sono inoltre commisurate anche al grado di istruzione ed alla
posizione professionale, sicché i dati meramente anagrafici in possesso dei
comuni e dei consolati rilevano poco. Nessun dato conferma che i giovani che
lasciano l’Italia siano esclusivamente laureati, sebbene ne costituiscano senza
dubbio una quota più significativa che in passato. I dati ISTAT indicano che la
componente di laureati nei flussi migratori sarebbe passata dall’11,9% degli
ultra25enni nel 2002 al 27,6% nel 2011. ISTAT, comuni, associazioni italiane
all’estero e gli stessi consolati non sono peraltro fonti esaurienti in tale
rispetto, come già evidenziato, e vi è la necessità di identificarne altre, in
particolare tra le nuove forme di aggregazione dei giovani espatriati.
Occorre quindi anzitutto affinare i dati in nostro possesso e a tal
fine individuare fonti alternative a quelle già disponibili. Per
definizione, il giovane che si reca all’estero oggi si avvarrà più di “blog”
che di Comites e associazioni; più delle opportunità offerte dall’integrazione
europea che dai servizi nazionali (iscrivendosi ad esempio alle anagrafi
cittadine – per poter usufruire dei servizi comunali e nazionali – rinviando
l’iscrizione all’AIRE ad un momento successivo, quando diventi eventualmente
“stanziale”). Occorre ottenere la collaborazione dei gruppi informali di
“expats” e delle strutture locali di accoglienza e impiego (comuni esteri,
uffici di collocamento, reti di imprese), nonché dedicare all’indagine
un’apposita sezione dei siti web istituzionali destinati ai visitatori.
L’intento è quello di capire anzitutto le dimensioni e la portata di un
fenomeno percepito in contorni e contenuti piuttosto sfocati, per determinare
le esigenze di cui possono essere portatori i componenti e valutare come
rispondervi in loco e centralmente.
In loco, gli uffici consolari maggiormente interessati dal fenomeno
potranno, sulla base delle risultanze dell’indagine, coinvolgere le strutture
del sistema-Paese presenti sul territorio (ICE, camere di commercio, banche,
Alitalia, Istituti di Cultura) chiedendo di indirizzare le loro attività anche
alle esigenze che siano state manifestate. Ove possibile, gli uffici potranno
farsi portavoce di eventuali esigenze anche presso le istituzioni locali e
concordare forme di collaborazione specifica.
Le cause e le circostanze dell’espatrio sono inoltre più variegate della
mera ricerca di un impiego (ne è dimostrazione l’ampia serie di servizi
dedicati all’argomento dall’emittente radiofonica de “il Sole 24 ore”, con
approfondite interviste ai giovani professionisti emigrati), sicché
provvedimenti “eziologici” dovrebbero anche muovere da una migliore conoscenza
di tali dati, in modo da “tarare” opportunamente gli eventuali interventi che
dovessero rivelarsi opportuni. Interventi relativi al soggiorno all’estero
quali – solo a titolo esemplificativo – modifiche della legge sull’AIRE, delle
norme sulla rappresentanza e rappresentatività degli italiani all’estero
(compresa e non ultima la legge sul voto all’estero, attualmente limitata ai
soli iscritti AIRE), delle operazioni di ricostruzione delle contribuzioni
previdenziali e così via.
Di tali dinamiche dobbiamo cercare di formarci un quadro aggiornato, per
arrivare a modulare servizi, assistenza e tutela. Un quadro che servirà
altresì per formulare quelle ipotesi di adattamento delle strutture che
potranno rendersi necessarie a seguito delle riforme istituzionali attualmente
in discussione, anche al fine di valorizzare pienamente l’apporto e le
potenzialità di tutte le componenti delle collettività italiane all’estero,
anche in chiave di promozione del sistema-paese.
La diffusione della lingua italiana continua a
rappresentare una priorità per il Ministero degli Esteri, in quanto lingua di
cultura ma anche strumento di promozione di un’immagine completa e dinamica
dell’Italia odierna, avvalendosi anche a tal fine delle nostre comunità
all’estero, quali potenziali “moltiplicatori culturali” del Sistema Italia. Per
promuovere tale visione, il Ministero degli Esteri ha ospitato il 6 dicembre
scorso, congiuntamente a MIUR, CGIE e Regioni, un seminario sulla diffusione e
sull’insegnamento della lingua e cultura italiana all’estero, con l’obiettivo
di valutare le possibili linee di riforma della normativa in materia ed
assicurare un miglior coordinamento tra gli attori coinvolti,
attraverso lo scambio costante di informazioni e la condivisione delle
iniziative. Al seminario hanno partecipato, tra gli altri, l’Accademia della
Crusca, le Università per Stranieri di Siena, Venezia e Perugia, la Società
Dante Alighieri, Assocamerestero, Goethe Institut e Istituto Cervantes. Grazie
ai numerosi spunti emersi è stato prodotto un documento congiunto, che
verrà inviato a cura del CGIE al Parlamento con l’obiettivo di fornire alcune
linee-guida per una riforma complessiva della materia.
In relazione alle iniziative di promozione della lingua e della cultura
italiana a specifico vantaggio delle nostre collettività, in particolare per le
generazioni più giovani, va evidenziato come lo stanziamento previsto per
l’anno corrente sul capitolo 3153 (contributi agli enti gestori di corsi di
lingua e cultura italiana per le collettività italiane all’estero), pari a 10,1
Milioni di euro, sia stato assegnato ed erogato in tempi molto rapidi, tenuto
conto dell’obbligo di pubblicità degli atti di spesa imposto dalla recente
normativa. Ciò, riteniamo, ha permesso agli enti gestori di programmare le
rispettive attività meglio che nel passato.
Resta tuttavia l’esigenza di proseguire lo sforzo di razionalizzazione
delle iniziative, già intrapreso negli anni scorsi, indipendentemente dalla
progressiva contrazione delle risorse sul pertinente capitolo di bilancio. A
tal fine, la Direzione Generale per gli Italiani all’Estero e le Politiche
Migratorie del MAE ha avviato un esercizio di revisione della circolare
13 del 2003, che come noto regola l’attribuzione dei contributi agli enti
gestori, in stretto coordinamento con la rete diplomatico-consolare.
Sempre in tale ottica, la DGIT ha fatto presente alla rete l’esigenza di razionalizzare, in
una programmazione di medio periodo, il numero degli enti gestori,
tranne laddove specifiche ed obiettive esigenze richiedano la presenza di più
Enti in una stessa circoscrizione consolare. Ciò allo scopo di concentrare le
risorse a favore degli Enti che, per la loro comprovata esperienza, struttura
ed efficienza (in particolare in termini di capacità di reperire risorse
proprie), possono impiegarle al meglio. Si dovrà inoltre, ove possibile,
favorire processi di accorpamento e fusione tra Enti gestori minori (come già
opportunamente fatto da alcune Sedi – tra cui l’Ambasciata a Washington - nelle
rispettive circoscrizioni consolari). Al proposito, si osserva che la
concentrazione delle risorse a favore di Enti più strutturati e virtuosi
consente di diminuire l’impatto delle spese fisse grazie ad economie di scala;
permette una programmazione didattica di più ampio respiro; può diminuire
l’incidenza percentuale del contributo ministeriale rispetto alle risorse
proprie (come richiesto dalla circolare 13/2003); favorisce, infine, lo
“spillover” di conoscenze, attraverso la condivisione di un maggior numero di
diverse esperienze didattiche.
Vale infine la pena osservare che, in raccordo con MIUR e MEF, la Farnesina
sta seguendo con particolare attenzione la situazione del contingente
scolastico all’estero. Il Decreto Legge n. 95 del 6 luglio 2012 (c.d.
“spending review”) impone infatti, come noto, una riduzione del contingente
del personale scolastico da destinare all'estero, il cui limite massimo, da
raggiungere progressivamente, è fissato in 624 unità complessive (dalle 1.024
preesistenti) entro il 2017. Già nell’anno scolastico 2012/13 si è passati
a 890 unità, con un taglio di 134 docenti. Il contingente diminuirà di
ulteriori 60 unità, circa, ad agosto, per effetto dei tagli automatici dovuti
alle scadenze di mandato. Tale contrazione sta determinando significativi
pregiudizi alla tenuta ed al monitoraggio delle iniziative scolastiche, in
considerazione, in particolare, della progressiva riduzione del numero dei
dirigenti scolastici in servizio all’estero. Si sta lavorando con i Dicasteri
sopra menzionati per cercare di introdurre un emendamento alla “spending
review”, che consenta nuovamente, per alcuni posti prioritari ai fini della
nostra politica scolastica, l’invio di personale docente e dirigenziale
all’estero.
In conclusione di questo intervento, desidero ricollegarmi idealmente al
suo incipit, quando ho fatto riferimento agli Italiani all’estero come
insostituibile risorsa per il Paese. Come sapete, il Governo Letta ha
un mandato ben preciso, e priorità delle priorità dopo anni di grave crisi è
quella di far ripartire la crescita, di dare rinnovato impulso alle imprese e
di creare lavoro per chi non ne ha, in particolare per i tantissimi giovani che
non vedono sbocchi ai loro studi ed alle legittime aspirazioni professionali.
Per un Paese come l’Italia largamente privo di materie prime e quindi
“condannato” a guardare all’esterno per la propria mera sopravvivenza
economica, l’unica possibilità è quella di “fare sistema” per
consentire al nostro apparato produttivo (e penso soprattutto alle piccole e
medie imprese, che ne costituiscono l’ossatura portante) di essere competitivo
nei mercati, per consentire ai nostri prodotti – alle eccellenze del Made
in Italy – di essere sempre più richiesti dai consumatori nei quattro
angoli del globo. Fare sistema a 360 gradi, quindi, e farlo bene non è
facile. Ebbene, come chiaramente evidenziato dalla Ministro Bonino nel
corso della sua audizione programmatica di fronte alle Commissioni Esteri
congiunte il 15 maggio scorso, gli Italiani nel mondo devono essere una parte
essenziale di tale sistema, gli alfieri della nostra Terra, della nostra
inventiva, della nostra Cultura, che non hanno rivali al mondo. Devono
esserlo le comunità della “vecchia emigrazione”, radicate da oltre
un secolo nel tessuto socio-economico europeo, nordamericano e latinoamericano,
che testimoniano quotidianamente l’orgoglio di essere Italiani e la nostra
“capacità di farcela”, che è esattamente quello che ci serve oggi. Possono
esserlo i “nuovi espatriati” degli ultimi 20 o 30 anni, professionisti,
scienziati, imprenditori, artisti, ricercatori, talenti ed eccellenze di
un’Italia del XXI secolo che deve essere in grado di vendere con successo il
proprio marchio se vuole ripartire. La Ministro Bonino ha parlato della
necessità di creare vere e proprie sinergie con la risorsa Italiani nel mondo,
ed io chiedo aiuto a voi, onorevoli colleghi, per identificare e declinare
azioni concrete in questa direzione, proposte che ci consentano di valorizzare
al massimo questa risorsa per il bene del nostro amato Paese.
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