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venerdì 29 novembre 2013

I lavoratori non comunitari altamente qualificati in Italia: un’opportunità sottoutilizzata da riconsiderare


IMMIGRAZIONE
I lavoratori non comunitari altamente qualificati in Italia: un’opportunità sottoutilizzata da riconsiderare
Una nota del Centro Studi e Ricerche IDOS, struttura tecnica dell’European Migration Network Italia/Ministero dell’Interno

ROMA - Venerdì 29 novembre 2013. Roma si è proposta a livello europeo come sede per un dibattito sul ruolo dei lavoratori altamente qualificati non comunitari. Si tratta di un seminario ristretto, che coinvolge un centinaio di operatori e ricercatori, organizzato presso il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro nell’ambito dell’European Migration Network, un programma istituzionale della Commissione Europea che in Italia fa capo al Ministero dell’Interno, Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione, Direzione Centrale per le Politiche dell’Immigrazione e dell’Asilo.
L’iniziativa è stata accolta molto favorevolmente all’estero e sono 16 gli Stati membri partecipanti, insieme a un rappresentante della Commissione Europea: Austria, Belgio, Rep. Ceca, Estonia, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Lituania, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Regno Unito, Slovacchia, Spagna e Svezia.
L’Italia, purtroppo, non emerge per l’ammissione e l’utilizzo di questi lavoratori nel suo mercato occupazionale e si distingue, al contrario, per le migliaia di giovani talenti nazionali che ogni anno si recano all’estero.
Secondo i dati Eurostat, i lavoratori altamente qualificati sono complessivamente nell’UE 39.012.400, di cui 1.673.600 i non comunitari. Al vertice si collocano il Regno Unito (574.111 lavoratori altamente qualificati non comunitari), la Germania (453.172) e la Francia (171.921). L’Italia, con 71.761 lavoratori appartenenti a questa categoria, è ampiamente al di sotto della Spagna (che ne conta 116.250). I Paesi più virtuosi per l’incidenza dei non comunitari sul totale degli altamente qualificati sono il Lussemburgo e il Regno Unito (incidenze, rispettivamente, del 13% e dell’11%), mentre l’incidenza media europea è del 4% e quella italiana si colloca al livello più basso (1%). Da noi i permessi di soggiorno concessi a questi lavoratori sono andati diminuendo nel periodo 2007-2012, e dalla media annuale di circa 4mila si è scesi ad appena 1.500 nell’ultimo anno. In Italia si riscontra anche la diminuzione dei titoli professionali conseguiti all’estero. Nel 2012 il Ministero della Salute ha rilasciato solo 1.796 riconoscimenti e nei collegi degli infermieri (IPASVI) le nuove iscrizioni sono diminuite a 2.152, di cui 999 riguardanti lavoratori non comunitari.
Tuttavia, la normativa italiana (art. 27, Testo Unico Immigrazione) è stata rafforzata a seguito del recepimento (con D. Lgs. n. 108 del 28 giugno 2012), della Direttiva Europea 2009/50/CE sulla cosiddetta “Carta blu europea” e di quella (2005/771/CEE), avvenuta quattro anni prima, sull’ammissione di cittadini stranieri non comunitari per motivi di ricerca scientifica. Queste modifiche hanno favorito un rinnovato impegno per conseguire una maggiore competitività e anche le Università si sono aperte ad una maggiore internazionalizzazione.
Il potenziamento del sistema produttivo di un Paese dipende non solo dalle risorse finanziarie, ma anche dall’adozione di misure amministrative e legislative per attirare talenti e rendere agevole l’inserimento: solo in questo modo gli immigrati potranno essere una risorsa, in misura piena, come sottolineato in questo seminario internazionale. Una ricerca dell’agenzia Enar ha quantificato in diverse decine di miliardi lo spreco che avviene in Europa per il sottoutilizzo degli immigrati, particolarmente accentuato in Italia, dove il 41% è sotto inquadrato, una quota più che doppia rispetto a quella degli italiani. (Inform)

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