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giovedì 28 novembre 2013

Il direttore del Ministerio de Educación y Cultura dell’Uruguay Luís Garibaldi: “L’insegnamento dell’italiano è un patrimonio da rivalutare”

STAMPA ITALIANA ALL’ESTERO
Da “Gente d’Italia”, 28.11.2013

Il direttore del Ministerio de Educación y Cultura dell’Uruguay Luís Garibaldi: “L’insegnamento dell’italiano è un patrimonio da rivalutare”

“Imparare una lingua straniera è una ricchezza irrinunciabile, che aiuta a sviluppare la personalità dell’individuo”. Si esprime così il Maestro Luís Garibladi, Direttore all’Educazione e promotore del Plan Ceibal. L’inglese è la priorità nelle politiche educative, ma “perdere il patrimonio dell’italiano e delle altre lingue opzionali non è concepibile

MONTEVIDEO - Maestro Garibladi, dal punto di vista linguistico ed educativo, su cosa punta l’Uruguay in questo momento?

“Puntiamo sull’universalizzazione dell’insegnamento dell’inglese nella scuola primaria. Il che rappresenta anche una grande sfida. Non siamo ancora arrivati a tutto il Paese e al momento il numero dei piccoli allievi si calcola intorno ai 25.000 studenti”.

Quindi l’inglese come seconda lingua obbligatoria?

“Esatto. Storicamente in Uruguay altre lingue straniere hanno avuto questo tipo di priorità. Negli anni ’40, con il piano del ’41, si diede priorità assoluta al francese, che si insegnava dal primo al quarto anno di liceo, l’inglese si iniziava solo al terzo anno. Oggigiorno le priorità sono diverse e l’inglese ha la preminenza”.

Nonostante ciò si punta ancora sull’insegnamento di altre lingue, come l’italiano?

“Chiaramente sì. L’apprendimento di varie lingue rappresenta una ricchezza culturale senza pari. Contribuisce allo sviluppo del pensiero, dell’articolazione del linguaggio e della logica. Perché la lingua è logica... Purtroppo però non si può dare spazio a tutte le lingue, così l’Uruguay ha deciso di rendere opzionale l’insegnamento di una seconda lingua straniera dopo l’inglese”.

Tra queste lingue opzionali c’è l’italiano, che purtroppo ha perso la rilevanza che aveva in passato,

che cosa pensa in proposito?

“Le darò la mia opinione personale. Lo spazio per le seconde lingue si è ridotto, perché era necessario aumentare quello dell’inglese dal primo al sesto anno della primaria con obbligatorietà. Francese, italiano, tedesco e russo vengono dopo. Sono opzioni che dipendono dalle singole scuole e variano di scuola in scuola. Per l’italiano forse il tema è più complesso che per le altre lingue, visto che prima godeva di una prevalenza, dell’obbligatorietà in alcuni tipi di scuola secondaria, come quelle ad indirizzo giuridico ed economico. E oggi si insegna solo poche ore la settimana nella scuola primaria, si è trattato di una politica di stato. E non solo di questo a mio parere”.

Ci vuole dire di più a riguardo?

“Personalmente ho l’impressione che siano successe alcune cose. Prima di tutto, il cambiamento nella politica linguistica uruguayana ha fatto sì che si privilegiasse l’universalità dell’insegnamento, anche dell’italiano, rispetto all’obbligatorietà, al suo insegnamento come materia curriculare nella scuola secondaria. Via l’italiano obbligatorio dalla secondaria, per allargare a tutte le primarie che lo volessero insegnare. Universalità versus obbligatorietà. La decisione ha scontentato chi si impegnava per la diffusione dell’italiano e si è creata una frattura. Ma a mio parere la politica dello stato è stata adeguata, forse difficile da implementare, ma è quella corretta. Poi, se vogliamo aggiungere un altro tema, il portoghese è la lingua del MERCOSUR e se dovessimo aggiungere un’altra lingua straniera obbligatoria, questa sarebbe il portoghese. E non l’italiano. Ma attenzione, il mio non è un freno. La lingua italiana è la benvenuta, come tutte le altre, ovviamente. Che aiutano a conoscere meglio la propria lingua materna, a comprendere il mondo e le culture differenti.”

L’italiano quindi ha smesso di giocare quel ruolo privilegiato del passato, ma ritiene che sia comunque importante insegnarlo?

“Senza dubbio, mio figlio studia l’italiano. E le dirò di più, a suo tempo nel 2003, quando si promosse l’accordo per l’insegnamento dell’italiano, io partecipai. Conobbi l’ambasciatore di allora, Malfatti di Monte Tretto. L’italiano è stato, è e resterà sempre importante. Ma dobbiamo adeguarci ai tempi e alle politiche educative. Si può sempre fare di meglio, ma bisogna seguire le direttive generali”.

Che visione ha rispetto al futuro dell’insegnamento dell’italiano?

“La crisi europea ha ridotto i fondi a disposizione, così il cammino per l’implementazione di nuovi metodi di insegnamento dell’italiano ha subito un forte rallentamento. Anche da parte uruguayana. E questo l’Italia non l’ha visto sempre di buon occhio. Ma le risorse sono state investite. So che esistono molti accordi anche a livello universitario, ma non sono stati implementati. Il problema è che nonostante accordi di base, accordi cornice, troppe volte non si stabiliscono i fondi da mettere a disposizione. Si preferisce la vaghezza alla pianificazione seria. E questo va a discapito degli studenti che magari potrebbero ben utilizzare le opportunità a disposizione. E’ un vero peccato, ma sono certo si possa rimediare. anche con meno fondi, è questione di pianificare bene gli investimenti”.

Risparmiare quando si parla di educazione non è un’opzione semplice e tantomeno garantisce buoni risultati…

“Non è semplice, ma la tecnologia ci può aiutare insieme all’innovazione”.

In che modo?

“Posto che la politica di educazione linguistica dell’Uruguay è una politica di insegnamento che include l’apprendimento della lingua materna e promuove il plurilinguismo, con l’universalità dell’inglese, abbiamo firmato un accordo con il British Council. Nelle scuole ci mancano docenti, maestri, professori di inglese, non ce ne sono abbastanza di formati per questo tipo di insegnamento. Contiamo solo con il 40% della quantità necessaria. Quindi l’accordo con il British Council e un metodo di insegnamento tramite videoconferenza. Grazie al fondamentale supporto del Plan Ceibal. Abbiamo già 600 sale di videoconferenza e l’anno prossimo arriveremo a 2.200, coprendo praticamente tutta la pianta urbana del Paese. Una metodologia a distanza con il Plan Ceibal, una specie di app. I docenti sono qui, ma anche in Argentina e nelle Filippine, in Colombia... I maestri locali non devono sapere benissimo l’inglese, fungono da coordinatori e organizzano il lavoro con il docente remoto. Così essi stessi si sentono incentivati a imparare la lingua. Le valutazioni dimostrano risultati entusiasmanti. Questo è il futuro, non solo per l’inglese”.

Crede si possa applicare anche per le seconde lingue straniere, italiano incluso?

“Non esiste nessun progetto, ma non sarebbe affatto una cattiva idea. Sarebbe al contrario un buon modo per approfittare della tecnologia. Per le seconde lingue un fattore dissuasivo è spesso il fatto che i Centri di lingua, i CLE, non sono presenti in tutte le città, ma solo in ogni Dipartimento. Con un metodo di questo tipo, chissà, si potrebbe incentivare lo studio con meno insegnanti. Con un’architettura nuova, tutta diversa e fuori dagli orari di lezione”.

Uno dei problemi maggiori per le seconde lingue straniere, è il fatto che dopo i tre anni di insegnamento nella scuola primaria, si rischia di perdere quanto acquisito. Cosa ne pensa?

“Questo è vero, anche se esistono degli accordi per incentivare i ragazzi a continuare lo studio. Persino nelle strutture private, come succede con il portoghese. Dopo un esame che conferisce un certificato si mette nero su bianco il livello raggiunto dallo studente. Ogni istituzione linguistica deve studiare la propria strategia, mancando l’obbligatorietà è l’unica via percorribile. Sarebbe positivo poter assicurare una maggior continuità, ma è vero che le priorità sono altre e c’è ancora tanto da lavorare su di esse”. (Stefania Pesavento -La Gente d’Italia del 28 novembre 2013 /Inform)

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