CONVEGNI
Il fattore “Bellezza” nella ricostruzione
dell’Aquila
La relazione di mons. Orlando Antonini
L’AQUILA - Il 24 luglio scorso si è tenuto all’Aquila, nella basilica di
San Giuseppe Artigiano, il convegno “Recuperiamo la Bellezza – L’Aquila modello
di rinascita tra identità storica e futuro”, promosso ed organizzato da One
Group, società di comunicazione e casa editrice aquilana. Un grande successo di
pubblico e un significativo contributo di idee e culturale in tema di
ricostruzione, grazie agli interventi - nell’ordine - di mons. Giuseppe
Petrocchi arcivescovo dell’Aquila, Pietro Di Stefano assessore alla
Ricostruzione Francesca Pompa presidente One Group, Massimo Cacciari filosofo e
già sindaco di Venezia, Rodolfo De Laurentiis consigliere d’amministrazione
Rai, Gabriele Centazzo industriale e designer, Fabrizio Magani direttore
regionale per i Beni culturali, e il giornalista Angelo De Nicola che ha
coordinato i lavori. Trattenuto a Belgrado, all’incontro non ha potuto
partecipare mons. Orlando Antonini, nunzio apostolico in Serbia e studioso di
architettura. Il suo contributo al convegno, che qui pubblichiamo, è
stato letto da Francesca Pompa.
Le interessanti riflessioni sulla “Bellezza” confermano quanto
opportunamente questa categoria debba esser recuperata, per essere adottata a
criterio programmatico della ricostruzione dell’Aquila al posto della formula
più semplice e comoda del ‘dov’era e com’era’.
Pur cosciente di parlare nel generale scetticismo, io continuo ad
insistere: non deve perdersi assolutamente l’occasione di questa ricostruzione
post-sismica per rifare la città dov’era – sì, dov’era, a dispetto dei volgari
‘capiscioni’ che vengono a dirci di abbandonarla; dov’era, dicevo, ma meglio
di com’era; ‘meglio’, si badi, non solo dal punto di vista costruttivo
ma anche da quello formale, del disegno: della Bellezza, appunto.
Perché all’Aquila c’è un problema che altrove non si pone. Contrariamente
ad esempio che in Emilia Romagna, al momento del sisma la forma urbis aquilana
si ritrovava in un assetto molto compromesso. Prima la pur pregevole ricostruzione
settecentesca, che per essere stata auto-finanziata dagli Aquilani ne prosciugò
anzitempo le risorse finanziarie e così rimase incompiuta, poi gli interventi
infrastrutturali ottocenteschi, infine la scervellata urbanizzazione
novecentesca, avevano sfigurato in più punti la città antica con costruzioni
fuori scala e forma e con arrangiamenti di comodo lasciati al grezzo,
sventrando anche parte del suo bel circuito difensivo.
Ve ne mostro qualche esempio rappresentativo, al quale il nostro
occhio si è talmente assuefatto che non ci si fa più caso.
Queste sono le absidi e la testata Sud del transetto di Santa Giusta.
Guardate com’erano state rabberciate dopo il 1703. La parte alta del transetto,
crollata, fu arrangiata nella forma goffa che si vede: richiuso il rosone e
aperta la brutta finestratura rettangolare; inoltre nel 1905, su pressione di
chi dirimpetto non poteva più tollerare il suono delle campane, dalla facciata
dove era in origine, il campaniletto fu trasferito sul transetto, da cui è
crollato nel 2009. Quanto alle absidi, per illuminare all’interno le nuove
cappelle private si squarciarono le eleganti coerenti muraglie in pietra concia
due-trecentesche senza poi armonizzarle col disegno generale.
Questo, invece, è uno degli scempi che si è fatto delle nostre Mura Urbiche
medioevali. Si tratta di Porta Barete, la principale della città antica, o
meglio la parte superstite del suo antermurale – l’antiporta ogivale ora è
nascosta dietro il contrafforte ligneo della messa in sicurezza. Ebbene circa
il 1823 la sua parte destra fu sventrata per sopraelevare Via Roma e negli anni
Ottanta per piantarvi i pilastri in cemento del cavalcavia su via Vicentini.
Qui però vada un grande plauso al Comune, a cominciare dal Sindaco Massimo
Cialente per passare all’assessore alla Ricostruzione Pietro Di Stefano che è
qui presente ed ha condiviso e promosso da sempre l’idea, all’assessore alle
Opere Pubbliche Alfredo Moroni, anch’egli partecipe ex todo corde del
progetto, nonché a tecnici come Chiara Santoro ed a professionisti come l’ing.
Giacomo Di Marco, per l’apertura di mente e la sensibilità che vanno
dimostrando nel prendere a cuore il recupero della Porta e delle Mura, il che
costituisce, per gli Aquilani in attesa, un segnale altamente ricostituente,
foriero di una ricostruzione davvero qualificante e qualificata.
Tornando ai deturpamenti, ecco l’interrogativo che pongo: nella
ricostruzione, che si fa di questi casi? Li si riproduce così come sono, nel
loro stato deforme? Oppure li si recupera, li si corregge, li si completa
anche, se del caso? Oggettivamente, la seconda risposta appare la più
ragionevole.
È vero che una ricostruzione migliorativa nel senso qui inteso non è
agevole:
- a livello urbanistico non è realistico eliminare tutto quanto di
incongruo con la città antica è stato costruito nel Novecento; ma ritengo sia
almeno possibile delocalizzare quei nove o dieci caseggiati moderni che
maggiormente intaccano e sfigurano le antiche Mura. Ovviamente occorre
organizzare percorsi di partecipazione con i cittadini, per far loro accettare
tali delocalizzazioni offrendo loro un’edilizia sostitutiva migliore, con premi
di cubatura e prospettive di risparmio energetico.
- a livello architettonico si tocca la spinosa problematica
delle teorie del restauro. Da una parte abbiamo la posizione conservativa
storicista, preponderante in Italia, dall’altra quella, pure conservativa ma
più possibilista, minoritaria in Italia ma prevalente nell’Europa d’oltralpe.
La prima, applicando impropriamente all’architettura viva i criteri di restauro
che son propri a pittura e scultura ed all’archeologia, restaura gli edifici
monumentali senza apportarvi integrazioni o rifacimenti di parti mancanti.
L’altra, con sfumature diverse, permette integrazioni, correzioni e finanche
esecuzioni cosiddette “in differita”, di progetti cioè che non furono
completati al loro momento, sicché oggi vari monumenti risultano ben modesti.
Fortunatamente, nella pratica i
responsabili statali del restauro sanno sempre trovare il giusto mezzo tra
posizioni contrapposte. Il Soprintendente Mancini, ad esempio, nel 2001 a proposito
del recupero di San Pietro ad Oratorium, restauro definito
esemplare dagli stessi organi ministeriali, scrisse di aver trovato “difformità
tra teoria, Carte del Restauro ed altre direttive ministeriali, e la pratica
applicativa di un intervento contrastante i motivi deontologici di un restauro”,
confessando poi chiaramente che in San Pietro “si sono dovute accettare
alcune considerazioni contrarie ai principi delle Carte del Restauro le
quali, a loro volta, sono assai imprecise se non adottate in funzioni
estemporanee...”.
In fin dei conti, le mie proposte ‘correttive’ possono contarsi sulle dita:
per un buon 80% della città antica vale senza dubbio la formula del “dov’era e
com’era”. Dico solo, che quello dell’Aquila, con distruzioni da sisma e
risistemazioni di comodo senza attenzione al risultato formale, è un caso
eccezionale; dunque qui la regola storicista in voga, proprio per superarne
contraddizioni paralizzanti, deve pur poter subordinarsi alla regola suprema:
la Bellezza.
Parlare di bellezza in questa interminabile crisi economica, con la
drammatica disoccupazione specialmente giovanile che sappiamo, la preoccupante
carenza di fondi statali, le paralizzanti procedure amministrative e di
erogazione, ben note a Comuni e ad imprese, nonché le reticenze dell’Europa,
potrebbe apparire un’alienazione. Eppure mai come nel caso dell’Aquila il
recupero della bellezza è esigenza dello spirito ma anche grande opportunità
economica, occupazionale. Perché vi è un nesso stretto e diretto tra
ricostruzione dell’Aquila all’insegna della bellezza e possibilità di ripresa
economica. L’Aquila dev’essere ricostruita più bella di prima, correggendone
quanto possibile le storture architettoniche e urbanistiche, per poter essere
più attrattiva e più competitiva turisticamente, rispetto alle altre città e
regioni d’Italia.
La ricetta turistica non viene proposta da un profano come me. Da almeno
mezzo secolo gli studi concludevano che la vera ricchezza che il nostro
territorio montano possiede – e che non è, si noti bene, né delocalizzabile e
né inquinante – è quella turistica, grazie alle sue bellezze naturali, al suo
peculiare, ingente patrimonio monumentale e alla valenza culturale della città.
Dopo il sisma, il concetto è stato fatto proprio a livello anche istituzionale:
il 17 marzo 2012 il noto studio condotto dall’OCSE per conto del Ministero
della Coesione Territoriale confermava scientificamente che la ’ricetta’ per la ripresa economica dell’Abruzzo e
dell’Aquila era appunto il turismo, culturale e naturalistico. L’esperienza in corso nel
suo territorio, di cui abbiamo saputo dal presidente Gabriele
Centazzo, dovrebbe ben convincere!
Sorprendentemente, poi esponenti
dello stesso Ministero hanno sconfessato le conclusioni dell’OCSE, sostituendo
la ricetta turistica con quella universitaria. Anche qui, ripeto e insisto:
l’università ovviamente va potenziata, ma quale polo complementare,
non alternativo; da sola non basta, è una soluzione che avvantaggerebbe la sola
città. Si faccia la scelta a favore dell’industria turistica quale strategia territoriale, per la ripresa economica
sia della città sia anche del territorio. E si ponga la bellezza a tema delle
politiche pubbliche ed a norma per ogni successivo intervento sull’urbanistica
e sull’ambiente in termini di forme, di disegno, cubatura, materiali, colore, ecc.
In tal modo l’Aquila si ricostruirebbe più bella, e le infrastrutture
specialmente comunicazionali che si disporranno moltiplicherebbero le iniziative turistiche private che stanno già fermentando
grazie ad illuminati coraggiosi imprenditori locali.
Purtroppo la normativa che lo Stato aveva varato nel 2010, condizionata
dalla comprensibile ondata emotiva dell’indomani del terremoto, segue la
formula del puro “dov’era e com’era”. Non delinea un’idea di città, non da’
spazio a recuperi monumentali e riqualificazioni urbanistiche, né traccia una
strategia di sviluppo che permetta alla città e al suo entroterra di uscire
dalla stagnazione economica in cui versano da tempo: si ripari il danno e
basta, questo il succo. Ultimamente, dopo quattro anni dal sisma, con
l’esperienza fatta si vanno emanando regole diverse, ma per vari importanti
progetti è troppo tardi. In ogni modo, se vi è volontà politica e si ha audacia
con i cosiddetti accordi di programma, anche nelle maglie di una normativa del
genere è possibile procedere ad una ricostruzione migliorativa nel
senso che ho detto. D’altronde solo dimostrando
estrema cura per la città antica potrebbe ambirsi a che L’Aquila assurga nel
2019 a Capitale della Cultura.
Una cosa appare chiara: o L’Aquila diventa città prevalentemente turistica,
oppure non avrà futuro, diventerà un grosso borgo, il mercato immobiliare
stesso crollerà. Se non si vuole questo, ebbene non se ne intralci la
ricostruzione migliorativa nel senso qui inteso: se non per senso civico, lo
sia almeno per interesse; ne va di mezzo il proprio futuro e quello stesso dei
figli e nipoti.
Con ricostruzioni virtuali come queste che vedrete adesso nel filmato
realizzato dall’Editrice del mio ultimo libro – la Onegroup – L’Aquila nuova
incanterà per la sua bellezza; bellezza la cui ‘potenza’, colpendo l’uomo di
stupore, gli apre una ‘ferita’ che diviene per lui, com’è stato ben detto, una
‘feritoia’ sul trascendente, su Dio stesso, la Bellezza in persona.
Non torniamo allo statu quo ante; L’Aquila dev’esser
ricostruita più bella di prima: è proprio ciò a cui ci sta spronando il nostro
nuovo Arcivescovo. (Orlando Antonini /Inform)
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