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venerdì 5 luglio 2013

Il Papa a Lampedusa: per una solidarietà senza confini

VATICANO
Il Papa a Lampedusa: per una solidarietà senza confini

Una riflessione del cardinale Vegliò

CITTÀ DEL VATICANO - Persone che cercano disperatamente di raggiungere un altro Paese, in fuga da persecuzioni, da violazioni dei diritti umani, da una guerra civile, o che semplicemente sono alla ricerca di migliori opportunità economiche per sostenere la propria famiglia. Lampedusa è un’isola italiana a 110 chilometri dalla Tunisia, ove la migrazione irregolare o le migrazioni miste sono una realtà.

Questo fenomeno riguarda esseri umani con dei volti, che sognano un nuovo inizio e guardano a noi aspettando la nostra risposta. Lampedusa è solo uno dei tanti punti focali in tutto il globo, dove si incontrano mondi diversi. Infatti, l’itinerario vasto e composito dei rifugiati si estende a quanti in barca si dirigono verso l’Australia, lo Yemen, l’Italia o Malta; in camion attraversano il deserto del Sahara a Nord; a piedi passano il deserto dal Messico agli Stati Uniti; superano fiumi per entrare in Sud Africa dallo Zimbabwe o lasciano l’Afghanistan attraverso la Turchia, verso la Grecia. Queste forme di flussi migratori misti sono un fenomeno mondiale.

La presenza di Papa Francesco a Lampedusa sarà un segno forte per richiamare l’attenzione di tutti e certamente per rendere noto che la buona novella di Gesù è rivolta a ogni vita e per ogni situazione. Proprio come il Papa stesso aveva detto: “Non dimenticate la carne di Cristo che è nella carne dei rifugiati: la loro carne è la carne di Cristo” (Discorso ai partecipanti alla Plenaria del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, 24 maggio 2013). Cristo è presente sull’isola in coloro che sono arrivati, ma anche nella popolazione locale che li accoglie.

A Lampedusa, come ovunque nel mondo, le sfide vengono affrontate dalla popolazione locale, che a volte ne viene sopraffatta e che deve accogliere grandi numeri di nuovi arrivati inaspettati. “Nel corso degli anni ci sono stati innumerevoli esempi di altruismo e azioni eroiche da parte di membri delle Chiese locali, che hanno ricevuto persone forzatamente sradicate, alcuni anche a costo della propria vita e dei propri beni. Offrire ospitalità significa ripensare e riformulare ripetutamente le priorità” (Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti e Pontificio Consiglio Cor Unum, documento Accogliere Cristo nei rifugiati e nelle persone forzatamente sradicate. Orientamenti pastorali, n. 84, anno 2013).

Questo fenomeno richiama anche l’attenzione su coloro che si prodigano in loro aiuto. Il soccorso in mare è un evento abituale. Molte volte sono i pescatori e i marinai i primi che, mettendo a rischio la loro stessa vita, vanno a soccorrere quanti sono in pericolo su imbarcazioni sovraffollate e fatiscenti. Anni fa, il Premio Nansen per i rifugiati è stato conferito all’armatore, al capitano e all’equipaggio della nave portacontainer norvegese MV Tampa, che aveva salvato 438 richiedenti asilo nell’Oceano Indiano.

I pescatori italiani sentono l’obbligo morale di aiutare le persone in balia delle onde, qualunque cosa dicano le autorità. Ecco perché è significativo che a Lampedusa i pescatori con le loro barche accompagneranno il Santo Padre al porto. Questa solidarietà in mare può essere d’incoraggiamento per migliorare il benessere dei richiedenti asilo e degli sfollati, nonostante i costi elevati per le persone coinvolte. Tuttavia, ci si deve interrogare sui comportamenti dei Governi, specialmente in relazione alle condizioni e ai luoghi all’interno dei Paesi riservati a queste persone sfollate. Si tratta dei confini estremi di una nazione, di campi profughi nel deserto o in un’isola sperduta lontano dalla terraferma. Ci si chiede se non sarebbe più adatto accoglierle in altre zone. Tali domande certamente non possono essere evitate dai Governi locali.

Ai rifugiati e ai richiedenti asilo dovrebbero essere assicurati i rispettivi diritti. Se hanno il diritto di fuggire per salvare la loro vita, dovrebbe essere dato loro anche il diritto di accedere all’asilo nel Paese di arrivo. Inoltre, dovrebbero essere applicati tutti gli altri diritti di protezione. Il diritto di libera circolazione e il diritto al lavoro devono essere applicati e ulteriormente estesi.

I Governi dovrebbero proteggere quanti fuggono da violenze, persecuzioni e discriminazioni. Nel corso degli anni, gli Stati hanno ampliato il concetto di rifugiato al fine di rispondere alla sfida attuale, ed è anche cambiata la legislazione internazionale che assicura maggior protezione alle persone costrette a fuggire. Purtroppo, l’attuale atteggiamento di molti Governi appare contrario a tali decisioni, fermo restando che gli Stati comunque hanno l’obbligo di assicurare protezione alle persone in fuga. Salvare vite umane, restituendo dignità, offrendo speranza e dando risposte sociali e comunitarie, è strettamente connesso con i valori morali e la visione cristiana.

Questo coinvolgimento con la presenza dei rifugiati, dei richiedenti asilo e delle persone forzatamente sradicate potrebbe portare a un ulteriore rinnovamento della Chiesa che ci spingerà fuori dal nostro universo familiare, verso l’ignoto, in missione, per rendere testimonianza del Signore. “Ciascuno di noi deve perciò avere il coraggio di non distogliere lo sguardo dai rifugiati e dalle persone forzatamente sradicate, ma dobbiamo permettere ai loro volti di penetrare nei nostri cuori, accogliendoli nel nostro mondo. Se ascolteremo le loro speranze e la loro disperazione capiremo i loro sentimenti» (op. cit., n. 120). La visita del Santo Padre potrebbe essere un nuovo inizio per tutti noi. (Card. Antonio Maria Vegliò* - Osservatore Romano)

* Presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti


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