Per il reindirizzamento cliccate link to example

mercoledì 18 settembre 2013

“Le Rotte del Mondo” fra acqua sana e malata


 SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE

Incontro ad Ala di missionari e volontari trentini

“Le Rotte del Mondo” fra acqua sana e malata

 

ALA (Trento) - L'acqua è preziosa e le Rotte del Mondo ci aiutano ad accrescere la nostra consapevolezza su questo tema anche se la nostra dotazione idrica pro capite va dai 200 ai 400 litri al giorno e in Africa può essere inferiore a 5 litri. Questa una delle evidenze emerse nel corso dell'incontro di ieri sera a Ala, che ha visto come protagonisti missionari e medici e anche due ingegnere ambientali dell'Università di Trento, impegnate nel settore della cooperazione allo sviluppo. “Acqua sana, acqua malata”, questo il titolo dell'appuntamento, ha portato sul palco del teatro Sartori il dottor Giuliano Brunori, nefrologo, padre Franco Cellana, missionario in Kenya, Carlo Spagnolli, medico e responsabile dell'ospedale di Mutoko, in Zimbabwe, don Giacinto Franzoi, missionario per anni in Colombia, anche nella foresta amazonica, ed infine Silvia Debiasi e Martina Ferrai, ingegnere ambientali, la seconda anche "pioniera" a suo tempo dell'esperienza di Ingegneria senza frontiere, che ha gettato un ponte fra l'ateneo trentino e il mondo della solidarietà internazionale. A coordinare i lavori, apertisi con l'applaudita esibizione del coro Città di Ala e con i saluti delle autorità locali e dell'assessore provinciale alla solidarietà internazionale e convivenza, Enrico Franco, direttore del Corriere del Trentino.

Quello che le Rotte del Mondo cercano di trasmettere è che bisogna che le persone e i popoli imparino a guardarsi negli occhi e ad aiutarsi vicendevolmente, e che anche in Trentino, dove la solidarietà è parte integrante del vivere quotidiano , vi è un enorme bisogno di trasmettere certi valori alle nuove generazioni. Queste in sintesi le convinzioni condivise da tutti coloro che, in questi giorni, stanno animando la quinta edizione della manifestazione, organizzata come sempre dalla Provincia e dall'Arcidiocesi di Trento: missionari, volontari ed esperti della cooperazione internazionale, e anche diversi medici, essendo quest'anno la salute il tema posto al centro della riflessione.

Convinzioni ribadite anche ieri sera ad Ala: il legame fra solidarietà e territorio è stato ricordato in apertura dall'assessore provinciale competente con un piccolo ricordo familiare legato ai tempi della guerra. "Attorno alla tavola che mia nonna apparecchiava, proprio qui a Ala, erano in 16, ma lei apparecchiava sempre un posto in più, perché diceva che se qualcuno fosse passato e avesse bussato non lo si poteva lasciar fuori con un pezzo di pane, bisognava inviarlo dentro, perché senz'altro aveva bisogno di sentire anche il calore di una famiglia. E quel posto in più era sempre occupato".

Spagnolli ha introdotto la serata presentando il grave problema dell'acqua non potabile o contaminata, che in Africa è uno dei primi veicoli di malattie. L'unica soluzione è quella di scavare dei pozzi. Ma un problema non trascurabile è anche quello della gestione dei reflui, delle deiezioni animali e umane, che spesso contaminano l'acqua utilizzata dalle persone per bere, in assenza di infrastrutture e di pratiche igieniche adeguate.

"Mi chiamavano padre acqua", ha detto invece don Franzoi, ricordando i suoi trascorsi in Bolivia, oggetto anche di un libro "dirompente" come "Dio e coca", pubblicato nel 2003 (i cui proventi vanno ancora oggi a finanziare progetti di solidarietà nel paese latinoamericano). Padre Cellana ha spostato i riflettori sugli slum di Nairobi, metropoli africana che esemplifica le grandi contraddizioni dei paesi cosiddetti in via di sviluppo, paesi che possono cioè sperimentare anche una forte crescita economica (più che per il Kenya il discorso vale soprattutto per i Brics) ma senza per questo accorciare il divario esistente fra una minoranza di ricchi e una grande, grandissima maggioranza di poveri, spesso persino più indigenti dei loro padri, perché privati delle sicurezze che la società "tradizionale" garantiva loro e scaraventati nelle periferie delle grandi città. Cellana oggi è nel nord del paese, fra i Turkana: una regione arida, dove si muore per la mancanza di acqua ma anche - di nuovo - perché spesso l'acqua disponibile è veicolo di gravi malattie.

Martina Ferrai ha brevemente illustrato l'impegno dell'Università di Trento, che ha anche istituito una cattedra Unesco per tecnologie appropriate nelle aree di cooperazione. Fino ad oggi oltre una quarantina di studenti di ingegneria hanno partecipato ai corsi per la preparazione di ingegneri ambientali capaci di intervenire nelle diverse aree del mondo, che prevedono anche lavori sul campo nell'ambito di progetti portati avanti da associazioni e consorzi trentini, come il Cam in Mozambico. 43 studenti hanno fatto questo corso. Ingegneria ambientale è una definizione che copre un ambito molto vasto. Un campo importante è proprio quello della protezione della risorsa acqua dalle contaminazioni. Non necessariamente costruendo complessi impianti fognari e depuratori: a volte, basterebbe evitare di scavare latrine vicino alle falde acquifere.

Silvia Debiasi a sua volta ha ribadito l'importanza di capire i contesti in cui ci si muove, di avere la mente aperta, di non pensare di avere sempre tutte le risposte o peggio, risposte preconfezionate. Anche perché, ha spiegato, riferendosi alla sua esperienza a Koboko, in Uganda, dove opera l'Acav, a volte si va per risolvere un problema e si finisce per risolvere un altro. Il dottor Brunori, che spende la sua professionalità anche in Ghana e Mali, oltre che al Santa Chiara di Trento, ha parlato infine dell'importanza della formazione del personale locale. Senza tirarsi indietro di fronte alle grandi contraddizioni che lo sviluppo diseguale del pianeta pone anche all'attività medico-sanitaria. "Noi consumiamo in una dialisi 120 litri di acqua - ha detto - e anche se quest'acqua dà la vita, non possiamo non pensare a quello che hanno detto alcuni dei missionari in questi giorni, ovvero che in certi posti 4 o 5 litri al giorno sono un lusso. Perciò, ha un senso fare la dialisi in Africa? Una domanda difficile. Ma noi siamo convinti, come nefrologi, che anche gli africani hanno diritto a una sanità che gli permetta di vivere". (mp/Inform)

Nessun commento:

Posta un commento