SOLIDARIETA’ INTERNAZIONALE
Incontro ad
Ala di missionari e volontari trentini
“Le Rotte del Mondo” fra acqua sana e
malata
ALA
(Trento) - L'acqua è preziosa e le Rotte del Mondo ci aiutano ad accrescere la
nostra consapevolezza su questo tema anche se la nostra dotazione idrica pro
capite va dai 200 ai 400 litri al giorno e in Africa può essere inferiore a 5
litri. Questa una delle evidenze emerse nel corso dell'incontro di ieri sera a
Ala, che ha visto come protagonisti missionari e medici e anche due ingegnere
ambientali dell'Università di Trento, impegnate nel settore della cooperazione
allo sviluppo. “Acqua sana, acqua malata”, questo il titolo dell'appuntamento,
ha portato sul palco del teatro Sartori il dottor Giuliano Brunori, nefrologo,
padre Franco Cellana, missionario in Kenya, Carlo Spagnolli, medico e
responsabile dell'ospedale di Mutoko, in Zimbabwe, don Giacinto Franzoi,
missionario per anni in Colombia, anche nella foresta amazonica, ed infine
Silvia Debiasi e Martina Ferrai, ingegnere ambientali, la seconda anche
"pioniera" a suo tempo dell'esperienza di Ingegneria senza frontiere,
che ha gettato un ponte fra l'ateneo trentino e il mondo della solidarietà
internazionale. A coordinare i lavori, apertisi con l'applaudita esibizione del
coro Città di Ala e con i saluti delle autorità locali e dell'assessore
provinciale alla solidarietà internazionale e convivenza, Enrico Franco,
direttore del Corriere del Trentino.
Quello
che le Rotte del Mondo cercano di trasmettere è che bisogna che le persone e i
popoli imparino a guardarsi negli occhi e ad aiutarsi vicendevolmente, e che
anche in Trentino, dove la solidarietà è parte integrante del vivere quotidiano
, vi è un enorme bisogno di trasmettere certi valori alle nuove generazioni.
Queste in sintesi le convinzioni condivise da tutti coloro che, in questi
giorni, stanno animando la quinta edizione della manifestazione, organizzata
come sempre dalla Provincia e dall'Arcidiocesi di Trento: missionari, volontari
ed esperti della cooperazione internazionale, e anche diversi medici, essendo
quest'anno la salute il tema posto al centro della riflessione.
Convinzioni
ribadite anche ieri sera ad Ala: il legame fra solidarietà e territorio è stato
ricordato in apertura dall'assessore provinciale competente con un piccolo
ricordo familiare legato ai tempi della guerra. "Attorno alla tavola che
mia nonna apparecchiava, proprio qui a Ala, erano in 16, ma lei apparecchiava
sempre un posto in più, perché diceva che se qualcuno fosse passato e avesse
bussato non lo si poteva lasciar fuori con un pezzo di pane, bisognava inviarlo
dentro, perché senz'altro aveva bisogno di sentire anche il calore di una
famiglia. E quel posto in più era sempre occupato".
Spagnolli
ha introdotto la serata presentando il grave problema dell'acqua non potabile o
contaminata, che in Africa è uno dei primi veicoli di malattie. L'unica
soluzione è quella di scavare dei pozzi. Ma un problema non trascurabile è
anche quello della gestione dei reflui, delle deiezioni animali e umane, che
spesso contaminano l'acqua utilizzata dalle persone per bere, in assenza di
infrastrutture e di pratiche igieniche adeguate.
"Mi
chiamavano padre acqua", ha detto invece don Franzoi, ricordando i suoi
trascorsi in Bolivia, oggetto anche di un libro "dirompente" come
"Dio e coca", pubblicato nel 2003 (i cui proventi vanno ancora oggi a
finanziare progetti di solidarietà nel paese latinoamericano). Padre Cellana ha
spostato i riflettori sugli slum di Nairobi, metropoli africana che esemplifica
le grandi contraddizioni dei paesi cosiddetti in via di sviluppo, paesi che
possono cioè sperimentare anche una forte crescita economica (più che per il
Kenya il discorso vale soprattutto per i Brics) ma senza per questo accorciare
il divario esistente fra una minoranza di ricchi e una grande, grandissima
maggioranza di poveri, spesso persino più indigenti dei loro padri, perché
privati delle sicurezze che la società "tradizionale" garantiva loro
e scaraventati nelle periferie delle grandi città. Cellana oggi è nel nord del
paese, fra i Turkana: una regione arida, dove si muore per la mancanza di acqua
ma anche - di nuovo - perché spesso l'acqua disponibile è veicolo di gravi
malattie.
Martina
Ferrai ha brevemente illustrato l'impegno dell'Università di Trento, che ha
anche istituito una cattedra Unesco per tecnologie appropriate nelle aree di
cooperazione. Fino ad oggi oltre una quarantina di studenti di ingegneria hanno
partecipato ai corsi per la preparazione di ingegneri ambientali capaci di
intervenire nelle diverse aree del mondo, che prevedono anche lavori sul campo
nell'ambito di progetti portati avanti da associazioni e consorzi trentini,
come il Cam in Mozambico. 43 studenti hanno fatto questo corso. Ingegneria
ambientale è una definizione che copre un ambito molto vasto. Un campo
importante è proprio quello della protezione della risorsa acqua dalle
contaminazioni. Non necessariamente costruendo complessi impianti fognari e
depuratori: a volte, basterebbe evitare di scavare latrine vicino alle falde
acquifere.
Silvia
Debiasi a sua volta ha ribadito l'importanza di capire i contesti in cui ci si
muove, di avere la mente aperta, di non pensare di avere sempre tutte le
risposte o peggio, risposte preconfezionate. Anche perché, ha spiegato,
riferendosi alla sua esperienza a Koboko, in Uganda, dove opera l'Acav, a volte
si va per risolvere un problema e si finisce per risolvere un altro. Il dottor
Brunori, che spende la sua professionalità anche in Ghana e Mali, oltre che al
Santa Chiara di Trento, ha parlato infine dell'importanza della formazione del
personale locale. Senza tirarsi indietro di fronte alle grandi contraddizioni
che lo sviluppo diseguale del pianeta pone anche all'attività medico-sanitaria.
"Noi consumiamo in una dialisi 120 litri di acqua - ha detto - e anche se
quest'acqua dà la vita, non possiamo non pensare a quello che hanno detto
alcuni dei missionari in questi giorni, ovvero che in certi posti 4 o 5 litri
al giorno sono un lusso. Perciò, ha un senso fare la dialisi in Africa? Una
domanda difficile. Ma noi siamo convinti, come nefrologi, che anche gli
africani hanno diritto a una sanità che gli permetta di vivere".
(mp/Inform)
Nessun commento:
Posta un commento